03/04/2025
Le emozioni negative fanno parte della vita e non si tratta affatto di negarne la presenza o cancellarle. Ma. Una cosa è il dolore di un fallimento, di un esame andato male, di un posto di lavoro mancato, di una persona che ti lascia o non ti sceglie. Altra cosa è l’odio violento che si scatena nei confronti di chi sembra averci privato di ciò che si immagina spettarci di diritto. Nel primo caso, con il passare del tempo, il dolore si trasforma, cambia forma, diventa accettazione, e spinge a concentrarsi su altro ed evolvere. Finché, pian piano, ci si rende conto che accade a chiunque di soffrire e che anche le persone che sembrano avere tutto spesso hanno tutto tranne ciò che più desiderano (e che magari noi abbiamo senza desiderarlo). Nel secondo caso, invece, l’odio distrugge. Si riversa su chi si considera responsabile della propria sofferenza, perché non ci ha riconosciuto o visto o ascoltato o accontentato. O, peggio ancora, perché ci ha tradito o abbandonato. Non è più solo ciò che non si ha (e che si è sicuri di meritare) a tormentarci, ma ciò che si pensa di non-essere — illudendosi che l’altra persona ci abbia privato di ciò che ci permette di esistere e andare avanti. Ma forse siamo noi adulti che non aiutiamo i più giovani (figli, studenti o nipoti) a convivere con le frustrazioni. Siamo noi che non insegniamo loro il “principio di realtà”, come lo chiamava Freud.
Il commento completo di Michela Marzano su Repubblica