24/04/2024
BRIGANTAGGIO DI IERI, CAMORRA E MAFIA DI OGGI
Sta suscitando polemiche e scandalo la notizia che in un cinema sia stato applaudito da alcuni l'assassinio del giornalista Giancarlo Siani durante la proiezione di una pellicola in sua memoria. Siani fu ucciso dalla camorra su richiesta della mafia.
Noi non entriamo in merito alla vicenda in quanto tale, che conosciamo soltanto indirettamente. Vogliamo ricordare soltanto due dati di fatto.
Primo, è innegabile che vi siano frange sociali (asociali) che simpatizzano, parteggiano, appoggiano, ammirano, colludono con la criminalità organizzata. Non è un problema esclusivo di alcune regioni, ma purtroppo si ha un poco ovunque, soltanto con differenze d'intensità.
Secondo, i briganti erano assassini, sequestratori, estorsori, rapinatori, stupratori, torturatori. Sui loro crimini esiste una casistica sterminata e minuziosa. Pratiche loro comuni erano le estorsioni, anche con l'invio di biglietti minatori, e la distruzione dei beni o l'uccisione di coloro che si rifiutavano di pagare il pizzo. Spesso erano collusi alle mafie o camorristi e mafiosi a tutti gli effetti. La famosa legge Pica sul brigantaggio infatti era destinata a reprimere assieme briganti e camorristi.
Legge per la repressione del brigantaggio, in Raccolta ufficiale delle Leggi e dei Decreti del Regno d’Italia, Stamperia reale, Torino 1863
Le stesse carte giudiziarie dello stato unitario presentano per qualche tempo una relativa interscambiabilità fra i termini di «brigante», «camorrista», «mafioso», e altri affini come «manutengolo» (fiancheggiatore dei banditi o dei mafiosi), «facinoroso », «malvivente». Questo suggerisce che una correlazione fra l’organizzazione criminale di tipo camorristico e le bande di briganti fosse riconosciuta sia nell’attività della magistratura, sia dal legislatore. V. Pizzini, La storia della mafia fra realtà e congetture, in “Studi storici”, ###V (1994), 2, p. 436.
O. Bandiera nel suo saggio breve sulle origini della mafia la pone quale protezione privata dai banditi (bandits e banditry sono i vocaboli impiegati) ma al contempo, ambiguamente, sorta essa stessa dal banditismo. Bandiera si riallaccia qui alla relazione Bonfadini, che dava notizia di come i proprietari terrieri selezionassero preferenzialmente quali loro guardiani proprio i briganti con il più folto curriculum criminale, i quali erano ritenuti i più adatti a intimorire e tenere lontani i colleghi. Esisterebbe quantomeno una coincidenza tendenziale fra intensità del brigantaggio e della mafia, che sarebbero fra loro correlati. O. Bandiera, “Land Reform, the Market for Protection and the Origins of the Sicilian Mafia: Theory and Evidence”, in “The Journal of Law, Economics and Organization”, 19, (2002), pp. 218-244.
l brigantaggio posteriore all’Unità era sovente guidato o costituito da mafiosi. Si può ricordare la famosa banda Pugliese studiata da Mangiameli. È un reticolo di connivenze fra briganti, mafiosi e personaggi del mondo politico ed economico siciliano quello che può essere rintracciato negli atti del processo ad Angelo Pugliese, un cosentino condannato all’ergastolo sotto il regno delle Due Sicilie, evaso nel 1860 dalle carceri di Palermo, poi divenuto capobanda di spicco. Egli fu arrestato nel 1865 in Tunisia, su mandato dello stato italiano ed all’interno di una articolata operazione che voleva colpire sia la maffia, sia le sue collusioni politiche, comprendenti assieme borbonici e repubblicani ovvero le due ali estreme dell’epoca. L’introduzione del termine mafia (maffia) nel linguaggio ufficiale avvenne proprio in quell’occasione su impulso del prefetto di Palermo, Gualterio.
R. MANGIAMELI, Banditi e mafiosi dopo l'Unità, in «Meridiana» n. 7-8, 1990, pp. 73-113.
Allora, stando così le cose, esaltare i briganti come eroi nell'Italia attuale quali conseguenze sociali e culturali comporta? Se pluripregiudicati condannati già dalla magistratura delle Due Sicilie quali Carmine Crocco e Ninco Nanco sono dipinti quali paladini e giustizieri, anziché delinquenti avidi di denaro e crudeli, come giudicheranno la criminalità di oggi i seguaci di queste stravaganti ricostruzioni pseudo-storiche?
«Siamo stati perseguitati come fossimo canaglie. Trattati come se non fossimo della razza umana. Siamo diventati un’etnia da cancellare […] Eppure, siamo figli di questa terra di Sicilia, stanchi di essere sopraffatti da uno Stato prima piemontese e poi romano che non riconosciamo. Siamo siciliani e tali volevamo restare». Queste parole non sono state scritte da un qualche scrittore revisionista o politico separatista, manco da un commentatore di Facebook.
Sono parole del capo della mafia Matteo Messina Denaro.