Ambulatorio Veterinario Martini - Dott. Sandro Cullino

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L'orario visite è il seguente : lunedì e martedì 10-12, mercoledì 10-16, giovedì e venerdì 15-19. CHIUSO PER FERIE DAL 22/T/24 AL25/7/24.

26/08/2025

Se oggi è la giornata mondiale del cane, mi sembra giusto dedicargli questa vignetta…

15/08/2025

La montagna non ha restituito vivo Switch, il Border Collie di sei anni e mezzo diventato simbolo di coraggio e avventura.
Campione italiano di Agility e compagno di Luca Campanale, era scomparso il 7 agosto dopo una caduta dalla Levanna Centrale a 3500 metri, finendo in un crepaccio del ghiacciaio di Nel, sulle Alpi Graie.
Mi appello come sempre al vostro buonsenso: sono come bambini di tre anni, ci seguono ovunque anche dove non dovrebbero per nessuna ragione andare. È una nostra responsabilità tenerli al sicuro e non rischiare le loro vite. E aggiungo non esiste come si legge un "cane alpinista" esistono solo cani che ci seguono perché ci vogliono bene. Sta a noi ripagarli del loro amore e non metterli in pericolo

11/08/2025
08/07/2025
28/06/2025

ll cane tenuto fuori in giardino non sta bene. Sopravvive. E lo fa male.
Non si tratta di un’opinione, ma di una valutazione comportamentale, clinica ed etologica fondata. Negli ultimi anni, il dato è diventato sempre più chiaro: escludere il cane dal contesto domestico, impedirgli l’accesso alla casa e relegarlo in uno spazio esterno, indipendentemente dalla metratura o dalla qualità dello stesso, genera un danno. Sempre.

Il cane non è un animale solitario, e non è stato selezionato per vivere come presenza marginale attorno alla famiglia umana. È un animale sociale, affiliativo e cooperativo. La sua evoluzione è profondamente intrecciata con la nostra. Vive per appartenenza, per relazione, per comunicazione. Escluderlo dalla casa significa togliergli proprio quella dimensione per cui esiste: stare con l’uomo.

Tenere un cane in giardino, senza accesso regolare e condiviso alla casa, significa ridurlo a un sopravvissuto emotivo. Non ha riferimenti interni, non ha stabilità, non ha guida. Si muove tra stimoli esterni che non può decodificare, senza nessuno che gli spieghi cosa osservare e cosa ignorare. Vive come presenza periferica, come guardiano frustrato, come osservatore attivo ma escluso. E questo modello, che ancora molti ritengono accettabile, non ha alcun fondamento né educativo né relazionale.

Il più grande alibi culturale è questo: “sta fuori perché fa la guardia”. È una giustificazione fragile, ripetuta per abitudine più che per ragionamento. Un cane che vive sempre fuori non protegge nulla: reagisce, si agita, abbaia, spesso a vuoto. Non distingue un pericolo reale da un rumore insignificante. Non ha filtri, non ha discernimento. Quello che chiamiamo “fare la guardia” è quasi sempre una condizione di iperattività reattiva, di ipervigilanza cronica, che consuma il cane emotivamente. Un cane che si sente costantemente in allerta non è un cane funzionale: è un cane in ansia.

E i danni sono visibili. La letteratura comportamentale è piena di evidenze in tal senso. I cani tenuti costantemente fuori, senza vita relazionale condivisa, sviluppano con grande frequenza stereotipie motorie, come il girare in tondo o lo scavare compulsivo. Perdono la capacità di rilassarsi. Dormono male. Reagiscono con impeto a qualunque stimolo. Non imparano. Non ascoltano. Non si affidano. Alcuni diventano apatici. Altri diventano aggressivi. Tutti, però, si disconnettono. Perché vengono tenuti ai margini, trattati come cani “da fuori”, come elementi separati.

Poi c’è l’altro luogo comune: “almeno ha spazio, ha il giardino, può correre”. Come se lo spazio fosse un sostituto della relazione. Ma lo spazio non è relazione. Non è comunicazione. Non è appartenenza. Un cane può avere duecento metri quadri e sentirsi comunque solo, deprivato, insicuro. Se quello spazio non è condiviso con la sua figura di riferimento, se non c’è coinvolgimento quotidiano, se il cane non entra mai nella casa e nella routine della famiglia, allora il giardino non è un luogo di libertà. È una prigione silenziosa. È un’area esterna dove il cane si auto-regola, si iperstimola, e lentamente si disconnette.

E così, giorno dopo giorno, quel cane che doveva fare “la guardia” si trasforma. Diventa, nel senso più tragico e concreto del termine, un nano da giardino vivente. Una figura presente, che abbaia e si muove, ma che non fa parte di nulla. Non vive con. Sta fuori. Attorno. Invisibile. Inascoltato. Mai dentro.

Il problema, a questo punto, non è più solo gestionale. È culturale. È nel modo in cui concepiamo ancora oggi la presenza del cane nella nostra vita. Finché continueremo a credere che “tenerlo fuori” sia normale, continueremo a produrre animali disfunzionali e famiglie frustrate. Il cane lasciato fuori non è un errore episodico. È un sintomo. Di una cultura arretrata, sbagliata, che fatica ad evolvere.

Non basta dargli da mangiare.
Non basta portarlo dal veterinario.
Non basta dire “gli voglio bene”.

Un cane ha bisogno di essere parte del gruppo. Di stare dentro. Di vivere con. Di essere incluso nella routine, nei ritmi, nelle giornate, nelle pause e nei silenzi.
Ha bisogno di una figura di riferimento, di guida, di relazione continua.
Ha bisogno di appartenere.

Finché non comprenderemo davvero questo passaggio, continueremo a sbagliare tutto il resto.

Fammi sapere se vuoi anche una versione breve per introduzione o caption, oppure se desideri che diventi parte di un manuale o protocollo formativo.

L. Caputo









24/06/2025

45mila euro di risarcimento per Keeran, il cane ucciso da un cacciatore per errore.

Il tribunale di Fermo ha stabilito che Keeran non era “solo un animale”, ma parte integrante della famiglia, con un valore affettivo che merita rispetto e tutela.

Questa sentenza non è solo una cifra: è un messaggio forte. Chi impugna un fucile ha una responsabilità enorme. Non possiamo continuare a tollerare una cultura dell’impunità intorno alla caccia e all’uso delle armi.

Lo dico da tempo: i diritti civili passano anche dalla protezione di chi non ha voce, come ad esempio gli animali, a partire da quelli che dividono con noi la nostra quotidianità.

Non bastano le sentenze esemplari: servono leggi più chiare e più coraggiose per tutelare davvero le vite, tutte le vite.

05/06/2025
31/05/2025

Basta una lu**ca che dà fastidio all’insalata, e subito si corre a comprare il veleno.
Lumachicida: facile, rapido, efficace. Il principio attivo più usato è la metaldeide, che agisce danneggiando il sistema nervoso centrale e che porta a tremori, convulsioni, emorragie e morte.
Facile, rapido ed efficace, no? La nostra insalata è al sicuro.
E cosa succede dopo?

Succede che il veleno non resta lì, succede che lo mangiano anche i ricci, le rane, gli uccelli, le tartarughe, i gatti.
Succede che muoiono tra convulsioni, tremori, emorragie. Succede che poi ci indigniamo se a morire è un riccio, se a boccheggiare è un pettirosso, se è un cane a stare male in giardino.
Uccidiamo senza pensarci tutto ciò che ci disturba, e poi piangiamo quando a morire è un animale più "carino" delle lumache.
Solo questa settimana abbiamo soccorso almeno 7 animali tra ricci e tartarughe, avvelenati a causa del lumachicida.

Oltre ad attirare l’attenzione sulla crudeltà dell’uso di questo veleno, ci teniamo a ricordare che, se a causa dell’uso del lumachicida restano uccisi altri animali oltre alle lumache, potreste incorrere nel reato previsto dall’articolo 544 del codice penale. Quindi, oltre a una riflessione etica sull’uso di queste sostanze, è bene riflettere anche sulle conseguenze penali.

Infine, vorremmo proporre delle alternative non violente al lumachicida: alcune piante producono sostanze aromatiche che non sono tollerate da lumache e altri parassiti. Fra queste l’aglio, la salvia, l’ortica, il peperoncino, la menta, il fi*****io, il rosmarino e il basilico con i quali produrre un macerato da distribuire nelle zone interessate per allontanare naturalmente lumache, chiocciole, afidi e alcuni tipi di bruchi. Le alternative ai veleni esistono e sono efficaci. Usiamole.

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