
27/08/2025
C'è una questione che mi crea, da un po' di tempo, una leggera acidità di stomaco.
Seguo poco i colleghi e le colleghe, eppure l' algoritmo fa il suo lavoro e mi capita di leggere post, storie, ecc. anche di colleghi e colleghe che non conosco e non seguo, e a volte trovo dei tipi di contenuto che non mi piacciono perché troppo assolutistici e rigidi, ma soprattutto svalutanti verso la colleganza (e su questo, ricordo che abbiamo un codice deontologico che parla chiaro).
Ci sono ovviamente in psicoterapia delle regole di setting inviolabili e non discuto su quella parte di contenuto. Ma quando leggo "si fa così altrimenti il tuo terapeuta sta compiendo un illecito"..... Stiamo calmi un attimo.
Ogni situazione è diversa. Ogni riportato dei pazienti si riferisce a situazioni che prese fuori dal contesto hanno poco significato. Mettiamoci insieme anche la soggettività del paziente e, a volte, la sua psicopatologia.
Usare i social per dare questa rigidità mette in dubbio l'operato della categoria intera. Lo spazio sui social è poco, e specialmente i colleghi e le colleghe più professionalmente giovani è normale che si aggrappino alle regole.
Ma lancio un appello alla categoria: proprio noi, non possiamo uscire dal bias per cui "io faccio tutto perfettamente mentre gli altri non ci arrivano", soprattutto se parliamo di colleghi e colleghe?
E aggiungo: proprio noi, che vogliamo lavorare anche sulle rigidità delle persone che si affidano a noi in favore della flessibilità, che esempio diamo con un atteggiamento che non tiene conto della COMPLESSITÀ?
Come in ogni categoria, ci sarà qualche caso di Psy che commette davvero illeciti, ma non saremo noi i giudici in un box risposta su Instagram. E come categoria, dovremmo essere molto più uniti.
In generale bisogna fare molta attenzione alla comunicazione sui social, mercuriale, rapida, istantanea e con poco spazio per gli approfondimenti, di qualunque categoria tu faccia parte.