Giovanna Stabile Studio di Psicologia e Psicoterapia

Giovanna Stabile Studio di Psicologia e Psicoterapia Informazioni di contatto, mappa e indicazioni stradali, modulo di contatto, orari di apertura, servizi, valutazioni, foto, video e annunci di Giovanna Stabile Studio di Psicologia e Psicoterapia, Psicoterapeuta, Via Plezzo 8, Udine.

La mia cura si rivolge ad adolescenti ed adulti forte dell’esperienza di lavoro nei servizi sanitari territoriali rivolti ai minori, alla genitorialità e ai legami famigliari e del sapere psicoanalitico aggiornato alle nuove scoperte scientifiche.

15/08/2025

Risposta alle dichiarazioni della dott.ssa Risoldi: un’analisi psicoanalitica rigorosa su asimmetria, durata, costo ed efficacia dell’analisi, alla luce di Freud e Lacan.

"Sin dalla sua nascita, la psicoanalisi è stata oggetto di attacchi, spesso mossi per primi da coloro che inizialmente vi si sono accostati con entusiasmo e aspettative elevate, ma che, per vicissitudini interne e lotte narcisistiche tra colleghi, sono approdati alla delusione e hanno finito per rovesciare sulla psicoanalisi stessa la loro amarezza.

Freud, oltre ottant’anni fa, aveva già evidenziato che le critiche alla psicoanalisi, più che fondarsi su un’argomentazione scientifica solida, nascono da motivazioni sentimentali. Questa constatazione testimonia un'impasse di chi si scontra con quel nucleo reale al cuore della psicoanalisi stessa."

Leggi l'articolo completo qui
https://www.lacanpertutti.it/la-psicoanalisi-e-le-sue-resistenze/

Lacanpertutti 2025,
pensa con i piedi.
www.lacanpertutti.it

09/08/2025
Buone vacanze. Gdansk, città delle meraviglie.
09/08/2025

Buone vacanze. Gdansk, città delle meraviglie.

Dissociazione: quando la realtà diventa insostenibile.Derealizzazione e depersonalizzazione sono due sintomi comuni dell...
08/08/2025

Dissociazione: quando la realtà diventa insostenibile.

Derealizzazione e depersonalizzazione sono due sintomi comuni della “dissociazione”.
Provo a chiarire di cosa si tratta.
La dissociazione non difende da un desiderio inconscio, come fa la rimozione. Difende piuttosto dall’assimilazione di un evento che, per il soggetto, è inassimilabile e inaffrontabile.
È qualcosa che oltrepassa la possibilità stessa di registrare ciò che è accaduto.
Il distacco dalla realtà dell’evento è totale. È per questo che, a volte, il soggetto sembra comportarsi come se nulla fosse accaduto.

Un evento traumatico – come ad esempio la morte improvvisa di un genitore per un bambino o il subire violenza – può squarciare il quadro di realtà del soggetto, provocando una disgregazione profonda della trama della sua vita.
Il soggetto può arrivare a non riconoscere più come propria la vita che fino a un attimo prima sentiva familiare.

In questi casi, la dissociazione non è una scelta: è una forma di sopravvivenza psichica. Il mondo continua a esistere, ma come attraverso un vetro opaco: distante, irriconoscibile, scollegato.
Si produce in questo modo un distacco. Tra sé e il mondo. Tra il prima e il dopo. Tra l’evento e la possibilità di farci i conti.

Dott.ssa Giovanna Stabile.

Dedicato a mio figlio, a tutti i suoi compagni e amici, a tutti i ragazzi… che in questi giorni stanno affrontando il pr...
27/06/2025

Dedicato a mio figlio, a tutti i suoi compagni e amici, a tutti i ragazzi… che in questi giorni stanno affrontando il primo grande esame della loro vita.😄

Ricordo il volto disorientato di un’allieva che, chiamata alla cattedra dalla commissione per sostenere il colloquio d’esame, volse il suo sguardo all’amica del cuore chiedendole teneramente: «Vieni anche tu?». Impossibile: la prova della maturità ci separa dai nostri appoggi abituali e ci espone al rischio del fallimento. Nessuno può parlare al nostro posto, nessuno può ve**re al nostro fianco a tenerci la mano. Ecco un’altra verità palesarsi: non siamo forse tutti sempre insufficienti, impreparati, immaturi, per affrontare la prova della vita?

Al link, "L'incubo della prova", il mio articolo uscito ieri su la Repubblica: https://drive.google.com/file/d/1mfyEwIM4c0LzDWm0I9yMVx_vS5TSpWeL/view?usp=sharing

[Immagine di copertina: Rushmore (1998), di W. Anderson]

27/06/2025

Qualche anno fa mi sono scottato.
Succede quando vai al mare, no?
Ti distrai, magari t’addormenti un attimo, ti scotti, fa parte del gioco. All’inizio non ci ho fatto tanto caso, però poi ha cominciato a far male, un male cane. È venuto fuori che era una cosa seria. Cioè, almeno per me. Agli altri dicevo che era quello che sembrava, una scottatura. E loro, in coro: ma per forza, vai al mare, ti distrai, ti addormenti, ti scotti, fa parte del gioco.
Mi sono detto che avevano ragione, che magari stavo esagerando. Ma non smetteva di bruciare.
È buffo perché io ho sempre pensato di essere il tipo di persona che non si scotta. E anche se si scotta, ho sempre pensato di essere il tipo di persona che una cosa così la regge. Fortifica, no? Si dice così? Magari uno accusa un attimo il colpo, ma poi basta, si rimette in piedi e va avanti. Invece no, invece quella scottatura mi ha tolto il fiato, mi ha scorticato, ustionandomi sottopelle per giorni, per mesi, per anni. E non smetteva mai di bruciare.
Mi sono bloccato. Non riuscivo più a fare niente. C’ero solo io e quella scottatura che lentamente mi consumava. Ogni tanto pensavo fosse passata, ogni tanto mi dicevo adesso ti dai una regolata e ritorni a fare la vita di prima.
Così mi costringevo a tornare al mare. E il mare stava lì ad aspettarmi. Mettevo la crema solare, da trenta, da cinquanta. Non serviva a niente, continuavo a sentirmi vulnerabile.
Anche le cose più banali come stare sulla spiaggia, o prendere il sole, erano diventate complicate. Figuriamoci fare il bagno.
Ho cominciato ad andare al mare con la maglietta. Poi direttamente senza portarmi il costume. Poi fermandomi al bar a guardare gli altri prendere il sole. Domandandomi come facessero. Non lo sanno che ci si può scottare? Non si rendono conto di quanto sia pericoloso, doloroso...
Ho iniziato ad aver paura di andare al mare. Non l’ho detto a nessuno, figuriamoci. Come lo spieghi che hai paura di prendere il sole? Chi è che ha paura di prendere il sole?
Il passo successivo è stato smettere di andare al mare. Prima con qualche scusa, poi senza neanche quelle.
P***a miseria, a me piaceva il mare. Mi faceva stare bene. Era una di quelle poche cose che mi faceva sentire me.
Ho cominciato a parlarne male. A dire che il mare è una m***a. Che quelli che ci vanno sono degli imbecilli. Con tutto quello che succede nel mondo, tu pensi al mare. Ma dai, cresci un po’.
Ho deciso che l’estate è sopravvalutata, che non mi serve, che vivo benissimo anche senza sole.
E poi ho pensato a un’altra cosa. Che era colpa mia. Che non sono in grado, non sono capace, che sono un cretino, un id**ta, un fallito che non sa manco prendere il sole senza scottarsi, che si è ustionato, che si è squagliato, che si è consumato perché troppo stupido per gestire il mare.
E ho preso una decisione. Ho deciso che non mi merito il mare.
E allora non va******lo mare, va******lo Nicolò per aver anche solo pensato che uno come te potesse andare al mare senza tornarsene a casa escoriato.
A questo punto la retorica tradizionale che s’inghiotte questo tipo di storie scongiura che io vi dica che tutto s’aggiusta. Che col tempo, la pazienza, che vedrai, che parlarne con qualcuno, che dai e dai i pezzi si rimettono insieme, le paure scompaiono e si torna a essere quelli di prima. Per me non è così.
Ancora oggi sento la scottatura, sento il dolore.
A volte li riconosci quelli che si son presi una scottatura. Hanno sorrisi difficili da tener su, e sguardi facili da buttar giù. Facce che non parlano di certi luoghi, di certi anni, di certe persone. Anche se le conosci da una vita, anche se ci fai l’amore insieme. Non ne parlano e basta.
Quando si rompe qualcosa dentro, non è detto che si aggiusti. Puoi provare a proteggerti, puoi provare a lasciar perdere, puoi parlarne, e sono tutte cose sensate per impedire alla paura di immobilizzarti, ma non sempre bastano.
Non condanno che si chiude, chi si barrica, si tutela, chi trova, si affeziona e difende la propria comfort zone, e chi sulla sabbia decide di non metterci più piede. Perché, va bene, nessuno si salva da solo, ma intanto ognuno da solo fa quello che può.
Un giorno ci sono tornato al mare. È successo un po’ per caso, con la spiaggia semivuota.
Non l’ho detto a nessuno. Ho steso il telo, mi sono seduto, le mani dentro la sabbia. Dopo un po’ ho avuto anche il coraggio di togliermi la maglietta. Ho fatto anche il bagno. Cinque minuti, poi basta. Il cuore mi batteva fortissimo. Sono uscito, mi sono asciugato, mi sono vestito, ho preso le mie cose e sono andato via. Tutto qua. Non ho fatto un sacco di cose, alcune sono sicuro che non le farò mai. Continuo a guardare gli altri, su quella spiaggia, e continuo a chiedermi come facciano a non scottarsi.
Ho avuto paura. Ne ho ancora.
Quel giorno lì non ho provato né sollievo, né euforia. Nessuna catarsi, nessuna cura. Ho provato meno dolore di quello che mi sarei aspettato, questo sì. E mi è rimasta dentro una consapevolezza: che sono stato capace di stare su quella spiaggia.
E che se volessi, potrei farlo di nuovo.

Il testo è di Nicolò Targhetta e la grafica di Amandine Delclos.

27/06/2025

In occasione della Giornata internazionale contro il traffico illecito e l’abuso di droga, il Visionario ospita la seconda delle due serate-evento di confronto tra diversi punti di vista sull’argomento sostanze. Dopo la prima proiezione del documentario inedito "Love in the Time of Fentanyl", la ripresa dello splendido film autobiografico di Francesca Comencini IL TEMPO CHE CI VUOLE costituisce una nuova occasione per approfondire il tema dell’uso di sostanze da una prospettiva complessa, inclusiva e rispettosa dei diritti umani.

📆 Al Visionario venerdì 27 giugno alle ore 20.30
🎟 Acquista il biglietto su https://cec.18tickets.it/film/28267

Anche questa serata è promossa da PerContro, associazione di familiari coinvolti nei percorsi di cura, dai servizi per le dipendenze (Ser.D.) attraverso la partecipazione del dottor Giuliano Zamparutti, medico psichiatra, e da una realtà attiva nella riduzione del danno come MisMàs.

21/05/2025


A. Harari in Attualità Lacaniana, Rosenberg&Sellier, p. 115

03/04/2025

2 APRILE, GIORNATA DI CONSAPEVOLEZZA SULL' AUTISMO.
Veronica Rinaldo.

Per lavorare con gli autistici e gli psicotici bisogna avere una certa passione per il non sapere.

Si tratta come dice Lacan nella conferenza Il Sintomo di “non incasellarli in anticipo” , egli riprende la raccomandazione di Freud, il quale voleva che ascoltassimo indipendentemente dalle conoscenze acquisite, che fossimo sensibili a quello con cui abbiamo a che fare, e cioè alla particolarità del caso.

-Si tratta di tenere la posizione soggettiva del porsi a lato, in modo narcisticamente decentrato, oscurato rispetto al proprio sapere e alla propria centralità personalistica.

*La rinuncia alla forza dell’io padrone e del sapere universitario attiene a una posizione di lavoro che non invade il bambino autistico e lascia invece lo spazio affinché il soggetto emerga nella sua singolarità, al riparo da un troppo di domanda e di interpretazione dell’altro.

*“Rinunciare ad applicare il sapere sul bambino, non significa fare professione di fede di ignoranza.

*Non sapere non significa non volerne sapere niente, ma attuare l’operazione analitica dalla posizione etica di un desiderio avvertito, la sola via per evitare la «normalizzazione psicologica» e la «moralizzazione razionalizzante» che minacciano ogni istituzione” .

*La clinica dell’autismo costringe e mette alla prova l’etica del terapeuta, tra la ripetizione dell’Uno, monolitico e identico a se stesso, e i pezzi staccati di un reale fuori senso.

-Nell’incontro con il bambino autistico il rischio per il clinico è di aggrapparsi ad un sapere, a una classificazione, a una legge che dia un ordine simbolico a ciò che è impossibile da sopportare. Ma se la spinta a tracciare una cornice rassicurante diventa la bussola del lavoro, della quale non si può fare a meno, si annulla l’operazione di riconoscimento del soggetto, la possibilità di cogliere la singolarità di ciascuno, andando dunque verso una clinica non etica, pericolosa e fallimentare.

-Dall’altra parte i pezzi scompaginati che porta l’autistico sono di un reale che egli cerca di iscrivere, di bordare, alla ricerca di un modo singolare per annodarsi.

-Ciò che rende viva la pratica terapeutica psicoanalitica è proprio il sostegno a ciò che, per l’autistico, può scriversi tra i pezzi staccati, ovvero la condizione di incontrare qualcuno che si presti a far sì che ci sia per lui un punto di annodamento, con il quale costituirsi una tenuta soggettiva sostenibile, tramite elementi non-standard e attraverso una pratica che si situa su due strategie cardine: la regolarità e l’invenzione.

Veronica Rinaldo
Autismo_Tracciare i confini del bordo.

Veronica Rinaldo nella foto.

Indirizzo

Via Plezzo 8
Udine
33100

Orario di apertura

Lunedì 09:00 - 19:30
Martedì 16:30 - 20:00
Mercoledì 08:30 - 19:30
Giovedì 08:30 - 19:30
Venerdì 08:00 - 19:00

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