26/11/2025
Ieri, 25 novembre, era la Giornata contro la Violenza sulle Donne.
Ed io mi sono fermata a riflettere, a pensare a tutte le donne che mi hanno scritto i loro feedback dopo le sessioni di Rinascita.
Ho riletto testimonianze, storie di rinascita, crepe diventate fioriture.
Una lettura lenta, profonda, un atto di amore e presenza.
È stato un silenzio pieno, denso, un silenzio che ascolta, che accoglie, che porta dentro ogni voce.
La violenza ha mille forme.
Alcune fragorose, altre sottili come aghi, impercettibili per chi sta fuori.
Le più evidenti sono quelle fisiche, fatte di botte e di percosse.
La forma più subdola, però, quella che scava più a fondo e che difficilmente trova giustizia, è la violenza verbale, mentale e psicologica.
Perché mentre le ferite del corpo sono visibili agli occhi di tutti, le parole – vere lame affilate – entrano nel sangue, si annidano nella mente, si radicano nel cuore e si diffondono come un virus silenzioso.
Sono le parole di discredito, di umiliazione, di mancanza di amore, di invidia sottile, a volte persino di odio nascosto, pronunciate da un familiare o da un partner.
Parole capaci di spezzare le ossa invisibili dell’anima.
Una risata di scherno può togliere respiro.
Il silenzio al posto della cura, quando la fragilità chiederebbe sostegno, diventa gelo.
E quel gelo invade le cellule, appesantisce, indebolisce.
La violenza psicologica si manifesta quando qualcuno, per sentirsi più grande, ha bisogno di rimpicciolire un’altra persona.
Quando chi ferisce cerca luce altrove perché fatica a trovarla in sé, finendo per distruggere la luce di altri, e spesso anche la propria.
La violenza sta in frasi gettate con leggerezza apparente:
“Sei una grassona”,
magari nel momento in cui una donna attraversa la menopausa e si sente più vulnerabile.
È nell’abbandono emotivo e fisico quando la salute vacilla:
lavoro, impegni, priorità personali… e tu da sola, in un letto d’ospedale, a guardare in faccia il tuo dolore.
È nel giudizio costante:
quello che mangi non va bene,
quello che bevi non va bene,
come ti vesti non va bene,
come pensi e parli non va bene.
È in frasi che arrivano come fucilate:
“Stai zitta che capisci poco”,
“Cosa vuoi saperne tu di politica?”,
“Quel libro per te vale zero, lascia perdere”.
Quando qualsiasi strumento che scegli per crescere viene ridicolizzato, umiliato, svilito.
Questa è violenza sulle donne.
È la violenza che sminuisce valore, che riduce identità, che blocca pensiero e parola.
È la frase tagliente che colpisce nel momento più fragile.
È la porta chiusa quando la vita chiede presenza e calore.
È far credere a una donna di valere meno, di percepire troppo, di comprendere poco.
Le parole attraversano il corpo come aghi sottili.
Scendono nella memoria, si intrecciano con il respiro.
Diventano eco, ombra, virus emotivo che replica se stesso.
Spesso tutto questo nasce in ambienti dove l’amore si confonde con il giudizio, dove la cura si misura con il controllo.
Frasi ripetute per anni diventano abitudine: si crescono figlie che imparano a tacere, donne che imparano a stringere i denti, anime che credono che tutto questo sia normale.
Ed è qui che inizia il punto di svolta:
Quando riconosci che ciò che hai chiamato affetto era mancanza.
Che ciò che sembrava attenzione era controllo.
Che quella che appariva normalità era violenza.
E in quel momento qualcosa si apre:
una crepa nuova, ma stavolta una crepa che fa entrare luce.
Se ti rivedi in queste parole, porta con te questa verità:
Il tuo valore esiste sempre, indipendentemente da chi tenta di spegnerlo.
La tua voce merita ascolto.
La tua storia merita rispetto.
La tua sensibilità merita cura, a partire da te stessa.
Il primo passo verso la Rinascita spesso è proprio questo:
riconoscere la violenza nei gesti minimi, nelle parole leggere, nelle ombre quotidiane.
Da lì può nascere un cammino nuovo.
Per te, per il tuo cuore, per la tua luce.
Se senti una ferita simile, scrivi sotto questo post.
Metti nero su bianco le frasi che ti sono state dette per sminuirti, per ferirti, per rimpicciolirti.
Quelle parole che ti hanno attraversata come coltelli sottili.
Che siano state pronunciate ieri o vent’anni fa, lasciale uscire.
Perché vederle scritte, una dietro l’altra, può aprire occhi.
Può far capire quanta crudeltà contiene una frase.
Può far nascere consapevolezza prima di ferire ancora.
E magari, leggendo, una donna si sentirà vista, compresa, meno sola.
Le parole distruggono, ma possono anche guarire.
Scriverle qui significa alleggerirle, trasformarle, renderle luce.
Oggi, 26 novembre, un giorno dopo la Giornata contro la Violenza sulle Donne, scelgo voce, presenza, consapevolezza.
E scelgo di farlo insieme a voi. 🌹