Sono una professionista poliedrica e creativa, appassionata della vita, del piacere e della semplicità. Sono tanti gli ambiti che coltivo e di cui mi nutro. Inizio il mio percorso proprio da lì, quando incredula leggo io mio nome tra quelli che hanno superato il test di ingresso. Comincio così a studiare e mi accorgo che la psicologia è vasta come la realtà, caotica a volte, ricca di variabili e d
i sfumature. Una scienza che è anche arte, una pratica artigianale e complessa, un sentiero con molteplici diramazioni, un punto di contatto con tecniche diversissime tra loro. Nella mia carriera formativa ho accumulato attestati e specializzazioni, spinta dalla fame di sapere e di cercare di possedere completamente questa materia così affascinante. Dalla psicologia scolastica alla clinica, dalle ricerche di mercato alla psicologia della religione, dall’intercultura alla psicomagia. Ovviamente ho desistito dal tentativo di sapere tutto, ma mi è rimasta la curiosità e la spinta a mischiare, intrecciare e creare nuove visioni. Della psicologia amo la profondità di comprensione dell’animo umano (in un modo chiaro e semplice per una mente occidentale) e l’apertura a mondi altri e disparati come la spiritualità, l’ecologia, l’alimentazione, il denaro. Mi sento psicologa perché ascolto con tenacia, sapendo quanto è difficile e poco comune; perché mi interessa quello che sta dietro, che non si mostra, che è mascherato; perché ho trasformato la mia sensibilità eccessiva in empatia; perché accompagno umilmente le persone per alcuni pezzi di cammino, stando loro a fianco; perché non cerco le risposte ma sono attratta dalle domande; perché mi nutro di relazioni e credo che esse soltanto possano “guarire” la nostra anima. E poi c’è il teatro. Quando ero piccola sognavo di essere un’attrice e guardavo con morbosità un cartone di nome “Maya”, dove una ragazzina sognava di diventare una grande attrice. Ogni tanto canto ancora la sigla! Mi affascinava tantissimo la capacità degli attori di fingere di fronte ad un pubblico consapevole della finzione. E da bambina che ogni tanto raccontava le bugie – e spesso veniva pure scoperta e sgridata – mi chiedevo come si facesse a superare la vergogna di svelare le proprie menzogne. E poi il teatro mi sembrava molto simile ai giochi simbolici che facevo con i miei amici, giochi in cui ognuno interpretava un ruolo e la trama del gioco si srotolava spontaneamente tra improvvisazioni e qualcuno che diceva agli altri cosa fare. Insomma, nel teatro ci vedevo un sacco di cose del mondo dei bambini, una sorta di gioco per adulti. Non so perché ma aspettai fino alla laurea per iscrivermi ad un corso di teatro. E ricordo che alla prima lezione mi stupii tantissimo delle affinità e delle assonanze che il percorso teatrale aveva con la psicoterapia. La finalità era diversa ma le tecniche e la profondità delle pratiche erano identiche. Sentivo che avrei potuto unire due delle mie passioni e percorsi varie strade per creare questa sintesi: teatro sociale in carcere, teatro di comunità, teatro dell’oppresso, teatro nelle scuole e negli ospedali psichiatrici, nelle cooperative di strada e nelle case di riposo. E poi finalmente scoprii la teatroterapia, dove il linguaggio teatrale viene utilizzato con finalità terapeutiche e di guarigione. Una disciplina che insegna agli adulti a giocare con se stessi e con gli altri, a osservare con gentilezza e amore le proprie fragilità, a trasformare le nevrosi in personaggi, a disidentificarsi dai propri schemi limitanti. Ho scelto il linguaggio teatrale perché si pratica l’umorismo, la leggerezza e il gioco. Elementi che considero indispensabili per una psiche sana e longeva. Nel teatro si scopre che la vita è una continua possibilità, una continua scelta. La dimensione ludica si fa rituale, acquisisce la sacralità di una cerimonia che poi dona all’attore la capacità di contemplare e ammirare la vita, in ogni minimo dettaglio, ad ogni respiro. Un altro aspetto essenziale della mia crescita come individuo e come professionista è il ta**ra. Pratica, disciplina, filosofia, dottrina… non saprei come definirlo. Perché per me il ta**ra è tutto. È l’unione, la sintesi, l’armonia tra tutte le cose che ho incontrato nella mia vita. Mi sono avvicinata al ta**ra per caso, con la curiosità ingenua e maliziosa di una giovane donna insoddisfatta della propria sessualità. E ho scoperto un sentiero sconosciuto e incantato che si addentrava nella mia interiorità. Da quel momento non l’ho più abbandonato e ha dato un sapore tridimensionale e variegato ad ogni mia attività. Quando lavoro ho sempre un approccio tantrico, sia che stia seguendo una coppia che vuole migliorare la propria sessualità, sia che stia interpretando un sogno, sia che stia scegliendo una canzone per un corso di teatroterapia. Perché è sempre presente in me l’attenzione al piacere, alla gioia, alla celebrazione della vita. Nel ta**ra ho trovato il sostegno psicologico di una terapia, la libertà del gioco, la leggerezza e la profondità delle emozioni, l’estasi del corpo, la passione della creazione, la spiritualità più vasta contenuta nella pratica più trasgressiva. E infine veniamo a chi sono oltre tutto questo, al di fuori della professione e delle attività legate ad essa. Vivo in campagna, in una fattoria sugli appennini toscani. Ho lasciato la periferia di Milano perché avevo un immenso bisogno di realtà, al di fuori delle illusioni. In questo momento non c’è più giudizio o rabbia nei confronti delle condizioni che la città propone ai suoi abitanti. Ma ricordo gli ultimi anni in appartamento con una grande compassione per quella donna esausta e alienata dal pendolarismo, dal non sapere cosa mangiava, dal non riuscire a scegliere uno stile di vita più sano, dal non avere mai abbastanza soldi, dal non avere mai abbastanza tempo, dal non accorgersi delle stagioni e dei suoni del tempo. Avevo bisogno di respirare a pieni polmoni la crudezza del mondo reale. E così sono qui, nella creazione dell’autosufficienza energetica e alimentare, di una socialità più profonda, fatta di incontri intensi anche se rarefatti e di gesti grandi che rompono le dighe della gratitudine e di un ritmo molto più consapevole e riconoscente nei confronti delle risorse necessarie alla mia vita. La vita essenziale che amo è fatta di incoerenze ed esagerazioni, di tante celebrazioni e umorismo, di amore verso la vulnerabilità della vita. Mangio principalmente quello che produciamo noi ma adoro la Heineken e le patatine fritte. Amo il silenzio dei boschi che mi circondano e ascoltare musica trash ad altissimo volume. Rifiuto raramente un invito a far festa e amo guardare i fiori nei miei prati. Coltivo l’orto con la stessa passione delle mie relazioni e la sera guardo spesso video demenziali su Youtube. Mungo le capre e faccio i tortelli a mano ma sogno una connessione internet ultraveloce. L’autenticità è il mio percorso, l’ironia è la mia bacchetta magica, l’empatia il mio potere. La mia missione è quella di fare spazio affinché la leggerezza del cuore possa emergere tra le crepe di ogni sofferenza.