29/06/2025
Lo guardi entrare in quella grande scatola d’acciaio, il forno crematorio. Ti sembra impossibile che sia davvero finita così. Che tutto si chiuda in quel momento preciso, meccanico, impersonale. Poi aspetti. Un’ora, poco più. E quando te lo riconsegnano, ciò che hai tra le mani non è più lui. È un’urna piccola, leggera, riempita di cenere e accompagnata da un numero. Un numero.
Questo resta di lui. Un mucchietto di cenere e un’etichetta. Nessuna voce, nessuno sguardo, nessuna traccia di ciò che è stato. Ottantasei anni di vita compressi in quel poco che ci è concesso di trattenere. La sua fatica, il suo coraggio, le giornate zeppe di lavoro, la dedizione silenziosa alla sua famiglia. La moglie che resta, che ora cammina con un passo più lento e lo cerca ovunque. I figli cresciuti sotto il suo sguardo severo e fiero. I nipoti che ormai sono adulti, ma che lui ha accarezzato, educato, amato con quella tenerezza che arriva solo col tempo, quando non si deve più dimostrare nulla a nessuno.
Ottantasei anni di esistenza vera, vissuta senza sconti, e ciò che ne resta è una manciata di cenere. La polvere di cui parlava la Bibbia: polvere sei e in polvere ritornerai. Solo che stavolta non è una metafora. Stavolta è tutto lì, dentro quell’urna, che pesa troppo poco rispetto a ciò che contiene.
Eppure, a ben vedere, non è quella cenere il vero resto di lui.
Lui è nei ricordi che ci abitano e non ci lasciano. In quella particolare inflessione della voce con cui ci chiamava, nelle frasi che ripeteva sempre, nei silenzi che sapevano dire molto più delle parole. È nei suoi modi di volerci bene, anche quando sembravano ruvidi, nei suoi rimproveri che da ragazzi ci sembravano eccessivi e che oggi, col senno di poi, riconosciamo come forme d’amore. È nei suoi occhi che si accendevano d’orgoglio quando ottenevamo un traguardo, anche piccolo.
Il ricordo è l’unica cosa che resta davvero. È lì che lui continua a vivere. È lì che resta intatta la sua essenza. Come scriveva Cicerone: la vita dei morti sta nella memoria dei vivi. E forse non c’è niente di più vero. Il corpo si dissolve, ma ciò che abbiamo amato resta. Si sedimenta dentro di noi, ci plasma, ci accompagna. È il suo esempio che ci tiene in piedi adesso, i suoi gesti che diventano nostri quasi senza accorgercene. È un’eredità che non si tocca ma si sente, si riconosce, si porta.
Resterà vivo finché ci saremo noi. E poi forse anche un po’ oltre, nei racconti che faremo di lui, in una fotografia che spunterà da un cassetto, in un modo di dire che ci ricorderà il suo. Forse un’altra generazione, forse due. Poi, com’è naturale, svanirà anche il suo nome.
Perché alla fine siamo solo questo: briciole nel disegno immenso dell’universo. Come scriveva Marco Aurelio, tutto ciò che è materia si dissolve come un fiume che scorre; tutto ciò che è anima, come un sogno e un’illusione. Ma in questo breve passaggio, in questa illusione di eternità, lui ha lasciato il segno. E quel segno resta, finché qualcuno lo sente ancora ba***re dentro.