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04/10/2025

🩺 💬 “In medicina non esistono i principi di malattia.
Esistono le diagnosi… e le minchiate.

Nel mio lavoro di pediatra mi capita spesso di imbattermi in diagnosi alquanto fantasiose:
“Principio di bronchite”, “principio di polmonite”, “principio di otite” e via dicendo.

Ora, chiariamo una volta per tutte: queste non sono diagnosi, ma previsioni degne di una cartomante. Solo un mago con la palla di cristallo può sapere che una bronchite “sta per arrivare”.
IN MEDICINA, LE MALATTIE O CI SONO, O NON CI SONO. IL “PRINCIPIO DI…” è UNA VIA DI MEZZO CHE NON ESISTE NEI LIBRI DI TESTO, MA SOLO NELLA FANTASIA (e talvolta nella paura) degli adulti.

Purtroppo, dietro questi “principi di malattia” si nascondono spesso terapie già iniziate, con i soliti antibiotici e cortisonici di routine, somministrati “per non rischiare”, “per sicurezza”, o peggio ancora “perché il bambino aveva già un principio…”.

E qui si apre il vero problema: la gratificazione del genitore.
Per molti adulti è più soddisfacente sentirsi dire “principio di polmonite” che “banale raffreddore virale”. Il primo fa sentire accorti, attenti, quasi eroi: “Meno male che siamo intervenuti in tempo!”.
Il secondo, invece, sa di banalità, di attesa, di fiducia nel corpo e nel tempo. E questo, a quanto pare, piace poco.

Ma la medicina non è un gioco di compiacimento.
Ogni diagnosi ad minchiam e ogni terapia data per gratificare lasciano segni veri — non sul prestigio del genitore, ma sul sistema immunitario del bambino.
Ogni antibiotico inutile altera l’equilibrio del microbiota intestinale. Ogni cortisonico dato “per sicurezza” disabitua il corpo a difendersi. E così, nel tempo, il bambino finisce per essere davvero più fragile, più malato, più dipendente dai farmaci che avrebbe potuto evitare.

Il “principio di…” è dunque una forma moderna di autogratificazione farmacologica: cura il bisogno dell’adulto di fare qualcosa, ma non certo il bambino.
Perché, diciamocelo, la vera prevenzione non si fa “per principio”, ma con buon senso, diagnosi, e conoscenza della fisiologia.

05/08/2025

Se c’è qualcosa che abbiamo sottratto all’infanzia di oggi: la spensieratezza.

Per alcuni bambini/e lo stato di spensieratezza viene già intaccato da patologie croniche (basti pensare a diabete o celiachia che pur essendo oggi ben controllati implicano il dover pensare costantemente alla patologia), ma la famiglia attutisce il colpo e si fa carico di questi pensieri.
Ci sono poi famiglie altamente disfunzionali, dove bambine/i sono costretti a pensare troppo presto a cosa ne sarà di loro.
In queste situazioni gli operatori sanitari e sociali fanno di tutto per recuperare la preziosa spensieratezza.

Ma oltre a queste situazioni che ho elencato doverosamente, oggi l’infanzia non è più caratterizzata dalla spensieratezza: la necessità di rispondere alle aspettative degli adulti è sempre maggiore, dover competere fin da piccoli, diventare adolescenti troppo presto per rispondere a canoni consumistici, essere influenzati da modelli propinati…

Anche crescere con genitori ansiosi e stressati da una società pressante, che hanno sempre meno tempo e vanno sempre di corsa, costretti a fare salti mortali tra casa e un lavoro sempre più esigente, con stipendi sempre più bassi, costo della vita sempre più alto, paura per il futuro, ecoansia, sfiducia nella politica e sfiducia verso l’altro…

L’infanzia ha diritto ad essere semplice come questa immagine: priva di quei pensieri che caratterizzano il mondo adulto, libera in spazi aperti, protetta dallo sguardo altrui e dalla curiosità morbosa, liberata (soprattutto questo) dagli strumenti che creano dipendenza, senza l’ansia della performance, mentre il tempo trascorre lento, osservando le conchiglie in spiaggia o le formiche che passeggiano in un cortile.
Così com’era l’infanzia fino a un paio di decenni fa.

Infine, come non ricordare quell’infanzia spezzata, dove la testa è affollata dai traumi della guerxa.

Tutti i bambini e bambine hanno diritto semplicemente a crescere come tali, senza i pensieri del mondo adulto e basta così poco.
Recuperiamo la spensieratezza, il miglior regalo per diventare adulti solidi.

01/08/2025
22/07/2025

Sono le 8 del mattino…

Suona la sveglia, accendo il telefono e ho “già” un “arretrato” di 100 whattsapp da leggere di genitori che questa notte…

….si questa notte…

hanno avuto l’esigenza di scrivermi.

Questa cosa ovviamente NON è normale.

A questi 100, fino alle 20 di stasera - ora in cui finisco di essere reperibile - se ne aggiungeranno altre svariate centinaia.

E altrettante centinaia ne riceverà la mia segretaria.

Secondo voi, è “sano” questo uso?

Un presidio tecnologico come questo, se usato senza regole, fa più danni che bene.

Non solo stressa chi cura, ma crea aspettative sbagliate, confonde ruoli e spesso… non aiuta davvero chi scrive.

📌 Serve una netiquette. Proviamo con queste semplici (ma sacrosante) regole:

1. Conta fino a 3 prima di scrivere. È davvero urgente? È una richiesta da fare su WhatsApp? Può Whatsapp essere “risolutivo”? O la risposta sarà ovviamente un laconico “il bambino va visitato, prenota”!

2. No ai papiri. Se il messaggio richiede più di 3 righe, forse è una conversazione da affrontare a voce, con calma. Prenota la visita.

3. Foto, video e vocali non sono graditi e spesso neanche scaricati. Semplicemente non possono portare a una diagnosi. WhatsApp non è un ambulatorio virtuale. Prenota la visita.

4. Rispetto dei tempi. Il medico ha diritto a staccare, dormire, vivere. Le risposte non sono quindi né istantanee, né garantite. Whatsapp NON è parte del mio lavoro, è un “favore”.

5. Canali ufficiali prima di tutto. Visite, prescrizioni, certificati, risultati: usiamo i canali giusti (repository su Pediatotem), con i tempi giusti (report in orario di studio).

WhatsApp non è il nemico. Ma usato male, rischia di diventarlo.

Serve buonsenso.

E un po’ di educazione digitale.

Anche questo è prendersi cura.

…Di sé, dei propri figli e di chi se ne prende cura…

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05/06/2025

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05/06/2025

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30/05/2025

ANTI FAKE: NON è vero che i bimbi devono andare ogni giorno in bagno
La frequenza delle evacuazioni nei neonati e nei bambini varia notevolmente in base all'età, al tipo di alimentazione e alle caratteristiche individuali. Ecco una panoramica per aiutarti a distinguere tra normalità e situazioni che potrebbero richiedere attenzione.

👶 Neonati (0-6 mesi)
Allattati al seno: possono evacuare dopo ogni poppata (fino a 8-9 volte al giorno) oppure una volta ogni 4-5 giorni. Entrambe le situazioni possono essere normali, purché le feci siano morbide e il neonato non mostri segni di disagio.

Allattati con formula: tendono ad avere evacuazioni meno frequenti, di solito 1-3 volte al giorno. Le feci possono essere più consistenti rispetto a quelle dei neonati allattati al seno.

Nota: Nei primi mesi, è comune osservare la dischezia del lattante, una condizione in cui il neonato si sforza e piange prima di evacuare feci morbide. Questo comportamento è dovuto alla maturazione del coordinamento muscolare e tende a risolversi spontaneamente.

🧒 Bambini (6 mesi - 4 anni)
Frequenza normale: varia da una volta ogni due giorni a due volte al giorno. L'importante è che le evacuazioni siano regolari per il bambino e non associate a dolore o sforzo eccessivo.
Stitichezza: si parla di stitichezza se il bambino ha meno di due evacuazioni a settimana per almeno un mese, oppure se le feci sono dure, secche e l'evacuazione è dolorosa.

🧑 Bambini oltre i 4 anni
Frequenza normale: di solito una volta al giorno, ma varia da bambino a bambino.
Stitichezza: definita da meno di due evacuazioni a settimana per almeno due mesi, accompagnata da sintomi come dolore addominale, feci dure o molto voluminose, e talvolta episodi di incontinenza fecale.

🚨 Quando consultare il pediatra
È consigliabile rivolgersi al pediatra se:

Le evacuazioni sono dolorose o accompagnate da sangue.

Il bambino mostra segni di disagio, gonfiore addominale o perdita di appetito.

Ci sono cambiamenti significativi nelle abitudini intestinali senza una causa apparente.

✅ Consigli per favorire la regolarità intestinale
Per i neonati: massaggi delicati sull'addome, movimenti delle gambe simili alla pedalata e bagnetti caldi possono aiutare.

Per i bambini più grandi: una dieta ricca di fibre (frutta, verdura, cereali integrali), adeguata idratazione e attività fisica regolare sono fondamentali.

Evitare: l'uso frequente di lassativi o clisteri senza indicazione medica, poiché possono interferire con il normale funzionamento intestinale.

Ricorda, ogni bambino ha il suo ritmo. L'importante è osservare il benessere generale e la facilità dell'evacuazione piuttosto che concentrarsi esclusivamente sulla frequenza.

❤️
21/05/2025

❤️

21/05/2025

Anti Fake: PIedi Piatti nei bambini
quasi tutti i bambini sotto i 5 anni hanno i piedi piatti — e va benissimo così.

Ecco perché:
Grasso plantare: Nei primi anni di vita, la volta plantare (l’arco del piede) è "nascosta" da uno spesso cuscinetto di grasso. Questo fa sembrare il piede piatto anche se l’arco c'è, ma non si vede ancora.

Legamenti lassi: I legamenti dei bambini piccoli sono naturalmente più elastici. Questo contribuisce alla conformazione “piatta” del piede quando si è in piedi o in movimento.

Arco in formazione: La volta plantare si sviluppa progressivamente con la crescita, la deambulazione, e l'attività motoria. In genere comincia a definirsi tra i 4 e i 6 anni, ma in alcuni casi anche più tardi.

Quindi:
🔹 Fino ai 5-6 anni, parlare di “piede piatto” come di un problema è fuorviante.
🔹 Non servono plantari né scarpe ortopediche.
🔹 La maggior parte dei bambini sviluppa un arco plantare normale spontaneamente.

Quando preoccuparsi?
Valutare dopo i 6-7 anni, se:

Il bambino si lamenta di dolore ai piedi, alle gambe o alle ginocchia

Si stanca facilmente camminando

L’arco plantare è assente anche in punta di piedi

C’è familiarità per piede piatto sintomatico

In sintesi: fino ai 5 anni i piedi "piatti" sono la norma, non la patologia. Lasciamoli camminare, saltare e correre: è il miglior “trattamento” per un piede in crescita.

quando preoccuparsi sotto i 5 anni

Sotto i 5 anni, nella stragrande maggioranza dei casi il piede piatto non è preoccupante. Ma, come sempre in medicina, ci sono eccezioni che meritano attenzione precoce.

📌 Quando preoccuparsi davvero sotto i 5 anni:
1. Dolore persistente
Se il bambino lamenta dolore ai piedi, alle caviglie o alle ginocchia, soprattutto durante o dopo il cammino.

Il dolore non è mai normale a questa età, anche se ha "piedi piatti".

2. Andatura anomala
Cammina “strano”, inciampa spesso, zoppica, si muove in modo goffo rispetto ai coetanei.

Cammina sulle punte in modo persistente o ha un’andatura rigida.

3. Rigidità
Se il piede sembra duro, non flessibile.

Un piede piatto flessibile è fisiologico. Uno rigido può indicare una patologia (es: sinostosi tarsale, neuropatie, ecc.).

4. Asimmetria evidente
Un piede è piatto, l’altro no?

Asimmetria + dolore + rigidità = serve una valutazione specialistica.

5. Ritardo motorio
Se il bambino cammina tardi, ha scarsa coordinazione o affaticamento precoce.

Possibile segno di problemi neuromuscolari sottostanti.

👉 In questi casi:
Valutazione ortopedica pediatrica o fisiatrica.

Eventuali esami (radiografie, test funzionali) solo se motivati dai sintomi.

NON usare plantari "preventivi" alla cieca: spesso peggiorano l’adattamento naturale.

Riassunto secco, stile “pediatra da battaglia”:
🔹 Piede piatto + nessun sintomo = tranquilli.
🔹 Piede piatto + dolore, rigidità, asimmetria o goffaggine = visita ortopedica.

17/05/2025

Non è solo Piacenza.
Non è solo un ospedale.
Non è solo “un uomo potente che approfittava del suo ruolo”.

È il racconto di un sistema culturale che per anni ha fatto finta di non vedere.
Un sistema che insegna alle vittime a tacere, a spostarsi, a sopportare.
Un sistema che chiama “carisma” la prepotenza e “goliardia” l’abuso.

Chi denunciava, veniva isolata.
Chi si ribellava, punita.
Chi taceva, sperava solo di non essere la prossima.

E allora chiediamocelo davvero:
quante volte anche noi, nel nostro piccolo, abbiamo scelto di non vedere?
Quante volte abbiamo chiamato “esagerata” una collega, una sorella, una figlia?
Quante volte abbiamo preferito il silenzio, pur di non compromettere un equilibrio malato?

Il vero scandalo non è solo negli atti, ma in quel “tutti sapevano” che è il vero virus.

Il corpo di una donna non è un benefit aziendale.
Il suo silenzio non è consenso.
Il suo disagio non è un fastidio da zittire.

Serve coraggio, ma serve anche una cultura diversa.
Una cultura che non si indigni solo quando escono le intercettazioni.
Una cultura che protegga, non che punisca chi parla.

E a chi ancora oggi pensa che siano solo “ragazze troppo sensibili”,
rispondiamo: non siete voi a decidere dove finisce il disagio e dove inizia la violenza.

16/05/2025

Anti Fake: Dermatite atopica: una malattia genetica, non un’allergia della pelle
La dermatite atopica è una malattia infiammatoria cronica della pelle, caratterizzata da secchezza, arrossamenti, prurito intenso e fasi di peggioramento alternate a periodi di miglioramento.

Molti pensano che si tratti di una semplice allergia cutanea, ma in realtà la dermatite atopica è una malattia con una forte componente genetica. Le persone che ne soffrono hanno una pelle “programmata” per essere più fragile: la barriera cutanea è alterata, più soggetta a perdita di idratazione e penetrazione di agenti irritanti.

🔬 Non è una malattia allergica, ma può essere influenzata da allergeni, a causa dell'aumentata permeabilità cutanea, aumenta la possibilità che allergeni possano sensibilizzare il paziente
È vero che alcuni allergeni ambientali o alimentari (come acari, polveri, pollini o determinati cibi) possono peggiorare i sintomi in soggetti sensibilizzati. Tuttavia, non sono la causa della malattia. La dermatite atopica non nasce da un’allergia, ma da una predisposizione interna: è il tipo di pelle ad essere alterato fin dalla nascita, e l’allergia può semmai peggiorare un terreno già infiammato.

🌦️ Clima e ambiente: quando il tempo peggiora, spesso peggiora anche la pelle
I cambiamenti climatici sono un fattore molto rilevante:

In inverno, l’aria fredda e secca, insieme al riscaldamento artificiale degli ambienti, favorisce la disidratazione della pelle.

In estate, il sudore, la salsedine, l’esposizione al sole o all’aria condizionata possono irritare la cute atopica.

In primavera e autunno, le variazioni di temperatura, gli sbalzi termici e l’aumento degli allergeni ambientali possono innescare riacutizzazioni.

Per questo, la dermatite atopica peggiora spesso con il peggiorare delle condizioni climatiche, e può richiedere un adattamento della routine quotidiana a seconda delle stagioni.

🧴 Consigli pratici per la gestione quotidiana
Ecco alcune strategie semplici ma efficaci per proteggere la pelle atopica e ridurre le riacutizzazioni:

1. Idratare quotidianamente
Usa emollienti almeno 1-2 volte al giorno, soprattutto dopo il bagno o la doccia.

Preferisci prodotti senza profumi, parabeni o conservanti aggressivi.

In inverno, scegli creme più corpose; in estate, emulsioni più leggere ma comunque idratanti.

2. Evitare saponi aggressivi
Detergi la pelle con olio da bagno o saponi delicati, privi di tensioattivi forti.

Evita lavaggi troppo frequenti o con acqua molto calda: alterano il film idrolipidico.

3. Fare attenzione all’abbigliamento
Preferisci cotone morbido, evita lana, sintetici e tessuti ruvidi a contatto diretto con la pelle.

Lava gli abiti con detersivi delicati e senza ammorbidenti.

4. Gestire il clima domestico
In inverno, umidifica gli ambienti (umidificatori, contenitori d’acqua sui termosifoni).

In estate, evita l’aria condizionata troppo secca o diretta sulla pelle.

5. Tenere sotto controllo il prurito
Mantieni le unghie corte e pulite per evitare escoriazioni.

Usa impacchi freschi o garze umide sulle zone infiammate nei momenti di prurito intenso.

Segui le terapie topiche prescritte dal medico in caso di infiammazione (creme corticosteroidee o immunomodulanti).

6. Alimentazione e allergie: solo se indicato
Non eliminare cibi dalla dieta senza indicazione medica.

🎯 In sintesi
La dermatite atopica è una condizione cronica e genetica, che non si “guarisce” eliminando un allergene, ma si gestisce con costanza e attenzione.
Capire che non è “colpa” del cibo o del sapone, ma di una pelle geneticamente più fragile, aiuta a prendersene cura meglio e a ridurre i momenti di peggioramento.

18/03/2025

A che serve un ragazzo che prende tutti 10 se davanti al dolore di un compagno scorre lo schermo invece di alzare lo sguardo? Se sa tutto di coding, ma non riconosce un’emozione? Se sa scrivere un’equazione perfetta, ma non un messaggio di conforto?

Stiamo crescendo generazioni iper-performanti e affettivamente analfabete. Li inseguiamo con voti, competenze e obiettivi, ma dimentichiamo di allenarli all’empatia. Sanno tutto di algoritmi, ma non di relazioni. Navigano nel digitale con destrezza, ma nella vita reale spesso vanno alla deriva.

Prima di essere brillanti, devono imparare a essere umani. Prima di diventare professionisti, devono diventare persone. Perché la vera intelligenza non è solo artificiale: è quella che sa riconoscere un bisogno e rispondere con il cuore, non con un like.

Indirizzo

Vibo Valentia
89900

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