18/09/2025
🔺Un ragazzo di 14 anni si è tolto la vita. Si chiamava Paolo Mendico, viveva a Santi Cosma e Damiano, amava la musica, i capelli biondi lunghi, suonava il basso e forse sperava che il domani fosse diverso. Invece il domani è arrivato con un gesto estremo, poche ore prima del rientro a scuola. La verità è che non è un fulmine a ciel sereno, è il risultato di una storia di umiliazioni ripetute, di solitudine crescente, di vergogna che giorno dopo giorno è diventata una prigione. Paolo è stato preso di mira per il suo aspetto, chiamato “Paoletta”, “Nino D’Angelo”, spinto ai margini del gruppo dei pari.
Questo non è mai solo uno scherzo: è una sconfitta che diventa intrappolamento, un’identità che viene corrosa, un senso di appartenenza negato. Se ogni giorno vieni deriso, finisci per credere che il problema sei tu, che la tua presenza non serve, che sei un peso. È così che la vergogna si trasforma in identità ferita e la solitudine in condanna.
Non bastava tagliarsi i capelli, non bastava fare finta di nulla. I genitori avevano denunciato, la scuola dice di non aver mai ricevuto segnalazioni formali. E intanto Paolo restava intrappolato tra due percezioni: da un lato chi chiedeva aiuto, dall’altro chi minimizzava o non ascoltava davvero. Nel mezzo, il silenzio complice dei pari, le chat piene di derisioni, i bagni e i corridoi dove il bullismo diventava routine quotidiana. Non servono slogan, servono adulti che si fermino ad ascoltare, insegnanti che vedano i segnali, compagni che abbiano il coraggio di dire basta. Non servono analisi postume, serviva protezione quando lui era vivo.
E allora basta dire che sono “ragazzate”. Basta con questa indifferenza. La prevenzione è lavoro quotidiano: è la scuola che vigila sugli spazi invisibili, è la famiglia che costruisce un piano di sicurezza insieme, è il gruppo dei pari che smette di restare spettatore passivo. Non possiamo restituire la vita a Paolo, ma possiamo smettere di raccontarci che non c’era nulla da fare. Ogni adolescente, davanti al dolore, deve avere almeno un pensiero diverso dal gesto estremo: non sono solo, qualcuno mi vede, qualcuno mi ascolta davvero.
Dott.Stefano Scatena