11/08/2025
Un pensiero a proposito dell’intervista a Maria Chiara Risoldi, pubblicata su Repubblica del 09/08/2025
Per chi, come me, si sente impegnato nel compito di ricercare e formare in ambito psicoanalitico, non è facile restare indifferente al contenuto dell’intervista. Principalmente perché, come tanti colleghi, ho fatto in modo di dare al mio impegno un senso diverso da quel senso osceno evocato dalla dott.ssa Risoldi. Ho sentito che c’era qualcosa di autentico nell’intervista. Ma non nel contenuto critico, nel quale ho scorto lo stile un po’ ru****no e come al solito scandalistico di Repubblica, che qualcuno giustificherà con il solito commento che chiama in causa il gradimento dei lettori, il bisogno di vendere e via discorrendo. Purtroppo, dobbiamo abituarci all’idea che i giornali sono ormai incapaci di fare davvero informazione e pubblicare commenti originali. Il più delle volte si tratta di opinioni, tranne il caso di apprezzati giornalisti che lavorano veramente in prima linea. Per il resto c’è bisogno di solleticare i lettori con scandaletti, tradimenti, e sensazionalizzando temi che non contengono nulla di nuovo e, soprattutto, non hanno nulla di somigliante a delle prove scientifiche.
In ultima analisi penso che l’aspetto più significativo e ricco di insegnamenti sia l’esperienza personale dell’intervistata. Questo aspetto emerge come una storia che giustifica i suoi sentimenti di delusione e di rabbia.
Una storia personale che costituisce da sola il contesto in cui si è sviluppata la posizione di una persona che, dopo averle idealizzate ed elevate ad oggetti di militanza e dipendenza, oggi vive la delusione ed il rancore verso la psicoanalisi e la politica.
Credo che il mio commento potrebbe concludersi qui, ricordando le parole profetiche di quel paziente che la mise in crisi dicendole che “difendevo sempre i suoi genitori”. Giustamente la dottoressa Risoldi commenta: “Mi accorsi che era vero, difendevo sempre l’autorità senza rendermene conto. Dopo tutti quegli anni di analisi, restavo una brava bambina.”
Cosa si potrebbe aggiungere? Ci sarebbe da aggiungere tutta la storia di militanza politica nel PCI ed in altre compagini.
Insomma, ancora una volta le parole della Risoldi offrono la chiave per comprendere la sua intervista ed il suo sentimento di delusione e di rancore: “I seguaci del PCI e quelli della teoria psicoanalitica freudiana hanno in comune il bisogno di aderire a una struttura dogmatica forte, per colpa della propria fragilità. E mi ci metto anch’io. Quella diventa la tua corazza.”
Dopo questo generoso esempio di auto-analisi, bisognerebbe aggiungere che le società di psicoanalisi dovrebbero fare attenzione a selezionare i propri allievi, escludendo proprio quelli che manifestano una così spiccata tendenza ad idealizzare e cercare protezione e dipendenza in una dottrina dogmatica.
Ma su questo punto mi sento di condividere le considerazioni della Risoldi. Mi riferisco al fatto che realmente persiste all’interno del mondo psicoanalitico un atteggiamento un po’ zelante e bacchettone che, con colpevole innocenza, tende a degenerare in una corrente settaria che può rischiare di trasformare la formazione in indottrinamento. Ma su questo è stato versato un fiume di inchiostro da insigni psicoanalisti, a partire da Ferenczi fino a Kernberg e oltre.
Io chiederei alla dottoressa Risoldi quanti degli psicoanalisti che hanno dato vita alla cintura protettiva nei confronti di Freud, hanno poi inciso veramente sull’evoluzione della psicoanalisi? Non certo Ernest Jones. Ma che dire di psicoanalisti come Ferenczi, Balint, Winnicott, Bowlby, Bion, Kohut, Sullivan, From, Stern? Tutti questi non possono essere considerati pensatori vissuti al riparo dell’idealizzazione e della zelante dipendenza da Freud, o da altri. Eppure, hanno certamente lasciato un segno indelebile nello sviluppo della psicoanalisi. Lo stesso Solms, oggi, appoggiandosi agli argomenti delle neuroscienze affettive, sonda territori dai quali giungono risposte innovative che mettono in discussione alcuni dogmi e tabù della dottrina freudiana.
La psicoanalisi è quella che evolve non quella che si cristallizza in forme di chiesa o di setta, come dice la dott.ssa Risoldi.
Dogmi e tabu sono fatti per persone che non sanno vivere senza di essi – sia che vi si sottomettano sia che vi si oppongano. Sono persone che la vita ha reso fragili, e che provano a sentirsi più forti imitando o appartenendo ad un capo carismatico o ad una ideologia. Lo fanno con la religione, con la politica, con la filosofia o persino con le scienze. Quindi anche con la psicoanalisi. Ma anche queste sono passioni fragili, che possono capovolgersi in delusioni, in disprezzo, nel giro di una notte.
Il vero scienziato, incluso lo psicoanalista, sa che di vero non c’è niente; non idealizza perché sa che è tutto transitorio: se va bene si tratta di evoluzione. Il vero psicoanalista è prima di tutto indipendente e consapevole di essere un operatore al servizio della conoscenza psicologica, al servizio della cura della sofferenza. Questo è il più importante insegnamento lasciatoci da Freud; non attraverso l’esempio del capo di una setta, ma attraverso l’esempio contenuto nella sua personale vicenda di uomo di scienza nei confronti del mondo scientifico e filosofico che lo circondava.
Questo esempio sopravviverà alla sua dottrina anche quando la psicoanalisi apparterrà ai libri di storia della scienza. Ma è ancora presto per considerare esaurita la sua spinta euristica.
Amedeo Stella, psicoanalista didatta dell’Associazione Italiana di Psicoanalisi (AIPsi) e dell’IPA