16/05/2025
Nell'immaginario collettivo lo psicologo viene visto come una persona senza problemi, imperturbabile e risoluta.
Una persona che deve rimanere impassibile davanti ai racconti commoventi dei pazienti, che non dovrebbe avere paure, insicurezze o lati d'ombra.
Non dovrebbe mai arrabbiarsi, o provare odio o essere triste: un uomo o una donna con i superpoteri.
Noi terapeuti non siamo robot: abbiamo un cuore che batte, una psiche che pensa e occhi da cui escono lacrime.
Siamo essere umani, con una vita normale, come quella di tutti: una vita non perfetta.
Soffriamo se un nostro familiare sta male, ci arrabbiamo se ci mancano di rispetto, e anche noi viviamo giornate o periodi della vita in cui non ci sentiamo al top, come tutti.
Essere psicologi non significa essere detentori del sapere. Quando chi mi sta vicino mi dice "Per fortuna che fai la psicologa, non dovresti reagire così!", non comprende che anche io provo emozioni, sono umana e posso sbagliare.
Mi commuovo sentendo le storie dei pazienti: l'empatia mi aiuta ad entrare in contatto con le emozioni di chi mi racconta il suo vissuto, con autenticità.
Non abbiamo nessuna bacchetta magica: il terapeuta conosce le sue vulnerabilità, ha lavorato molto su se stesso e ha degli strumenti per essere d'aiuto all'altro, conosce alcuni meccanismi della psiche umana.
Rimaniamo persone come tutti gli altri, con le nostre fragilità e le nostre criticità. Siamo integri, accoglienti e presenti, dando il meglio di noi stessi.
Al di là della professionalità, ci sono stati d'animo che non si possono spiegare. Per comprenderli occorre essere simili, occorre essere umani, al di là dell'essere psicoterapeuti.