Carla Fiorenza Fisioterapista

Carla Fiorenza Fisioterapista Fisioterapia, Riabilitazione

c/o EOSPA

Massoterapia terapeutica o preventiva
Massaggi total body
Kinesiterapia
Rieducazione posturale
Limfa
Linfodrenaggio
Tecar
Ionoforesi
Diadinamica
Tens
Elettrostimolazione
riabilitazione in acqua
recupero funzionale
ginnastica posturale
riabilitazione post-chirurgica
riabilitazione protesi
riabilitazione sportiva
riabilitazione propriocettiva

17/11/2025

È lunedì.. ed è ora di una nuova puntata di "Anatomia Spassosa: esploriamo il corpo umano con un sorriso!" 😁

E oggi facciamo un salto nel mondo delle variazioni anatomiche con uno dei più famosi “ospiti inattesi” del piede: lo scafoide accessorio, un piccolo osso in più, spesso silenzioso, ma talvolta.. rumoroso!

Non tutti ce l’hanno, ma chi ce l’ha.. a volte lo sente eccome! Lo scafoide accessorio è un osso sopranumerario, presente in circa il 10-15% della popolazione. Un vero “intruso benigno” del piede, che può starsene zitto per anni.. o farsi sentire, soprattutto negli sportivi e nei bambini!

Cos’è e dov’è?

Lo scafoide accessorio è un ossicino accessorio che si forma vicino al margine mediale dello scafoide del piede, là dove si inserisce anche il tendine del muscolo tibiale posteriore.

In parole semplici: è come un piccolo “sassolino” che a volte resta separato dallo scafoide vero e proprio, può essere fibroso, cartilagineo o osseo e non si articola con altre ossa, ma può alterare meccanica, tensioni e inserzioni muscolari.

Cosa fa (o non fa)?

In sé.. non fa nulla. Non ha una funzione specifica. Ma può interferire con la biomeccanica del piede, perché si trova nel punto d’inserzione del tibiale posteriore,
un muscolo chiave per il sostegno dell’arco plantare.

Se infiammato o sottoposto a stress può causare dolore, alterare la trazione del tendine, ridurre la forza del piede e simulare una frattura!

Curiosità divertente

Lo scafoide accessorio è come un coinquilino silenzioso: la maggior parte delle persone non sa nemmeno di averlo, finché un giorno.. “qualcosa fa male lì dentro”.

E sai qual è il bello? A volte lo si scopre per caso su una radiografia fatta per altri motivi!

“Signora, lei ha un ossicino in più!” – “Ah, lo sapevo che ero speciale!” 😅

Funzionamento buffo

Immagina un elastico ben teso (il tendine del tibiale posteriore) che si deve attaccare a una parete liscia.. ma in mezzo ci metti un sassolino mobile (lo scafoide accessorio):
l’elastico tira, il sassolino si muove, e tutto il sistema.. si arrabbia!

Nella vita di tutti i giorni

Potresti avere uno scafoide accessorio e non saperlo mai.
Ma se pratichi sport (soprattutto danza, corsa, basket) o stai tanto in piedi, potresti sentire un fastidio o rigonfiamento nella parte interna del piede, notare dolore quando usi scarpe strette o durante i salti, avere un piede piatto doloroso (per disfunzione del tibiale posteriore).

Parole complicate, spiegate semplici

Scafoide: osso del piede vicino alla parte interna dell’arco plantare.
Accessorio: non sempre presente, una variante.
Tibiale posteriore: muscolo profondo che sostiene l’arco del piede.
Disfunzione del tendine tibiale posteriore: uno dei principali motivi di piede piatto nell’adulto.

Come può soffrire?

Sindrome dello scafoide accessorio: dolore, gonfiore, difficoltà a camminare.
Tendinopatia del tibiale posteriore: trazione alterata.
Diagnosi differenziale con frattura da stress: a volte si confonde con traumi!
Esiti post-traumatici o post-chirurgici: quando si interviene per rimuoverlo o fissarlo

Momento educativo leggero

Se senti dolore nella parte interna del piede.. non sempre è fascite o alluce valgo! Lavorare sull’equilibrio e sulla propriocezione può alleggerire il carico sulla zona. Scarpa troppo rigida o con appoggio mediale accentuato? Occhio allo scafoide accessorio!

Curiosità scientifica

Nella classificazione di Geist ci sono tre tipi principali di scafoide accessorio:
Tipo I: piccolissimo ossicino ovoidale (fibroso)
Tipo II: parzialmente unito allo scafoide (il più sintomatico!)
Tipo III: fuso completamente con lo scafoide, spesso non dà sintomi

In alcuni casi si può optare per un trattamento conservativo: plantari, fisioterapia, crioterapia o un trattamento chirurgico: resezione o fissazione del frammento.

Conclusione

Ora che conosci lo scafoide accessorio, potresti chiederti: “Ma allora sono normale?”
Certo! Anche con un ossicino in più, sei sempre anatomicamente speciale! 😜

Ci vediamo lunedì prossimo con un nuovo episodio di Anatomia Spassosa: impariamo il corpo umano con un sorriso! 🥰

16/11/2025

Hai mai avuto un brivido lungo la schiena quando qualcuno ti tocca all’improvviso?
O quella scarica che senti dentro quando qualcosa ti emoziona, anche senza parlare?
Ecco: quello non è “solo” un sentimento.
È il tuo sistema nervoso che accende le luci.

Dentro di te, miliardi di piccole scintille come questa si passano il testimone. Un impulso parte da una cellula, corre lungo l’assone, salta tra i nodi di Ranvier e arriva fino al muscolo.. E nel momento esatto in cui arriva, tu ti muovi, senti, reagisci.

Non c’è magia.
C’è biologia poetica.

Per chi non è del mestiere: ogni movimento che fai, dal ba***re le ciglia al correre, nasce da un messaggio elettrico che viaggia a una velocità fino a 120 metri al secondo. Ogni nodo, ogni cellula, ogni guaina è un pezzo di quel dialogo perfetto tra cervello e corpo.

Quando uno di questi passaggi si interrompe (stress, dolore, compressioni), la comunicazione rallenta.. e il corpo “perde il segnale”.

Per i colleghi clinici: conduzione saltatoria lungo le fibre mieliniche, integrazione neuronale afferente–efferente e plasticità sinaptica motoria. Alterazioni nella mielinizzazione, nella soglia di eccitabilità o nella sincronizzazione sinaptica generano dissinergie motorie e disordini percettivi.

Immagina la riabilitazione come una neuroplasticità guidata, che restituisce al sistema la capacità di comunicare.

E quindi?

Il corpo non dimentica. Ma a volte.. si scollega. Il nostro lavoro è solo questo: rimettere in contatto ciò che la vita ha disconnesso.

Ogni gesto è un pensiero diventato corrente.

Prova questo!

Chiudi gli occhi, muovi lentamente un dito della mano e pensa al percorso che quel segnale ha fatto per arrivarci. Ti rendi conto di quanta intelligenza c’è dietro ogni piccolo movimento?

Il corpo non si muove per caso.
È solo il cervello che, ogni giorno, ti scrive un messaggio in codice elettrico.

Post divulgativo a scopo educativo.
Non sostituisce la valutazione fisioterapica personalizzata.

14/11/2025

Hai mai visto qualcuno che vive come se tenesse tutto dentro? Pancia tesa, petto alto, respiro corto. Come se volesse sembrare forte.. mentre dentro trattiene il mondo.

Ecco, il corpo fa lo stesso.

L’addome si trasforma in una corazza.
Il retto tira, gli obliqui stringono, il trasverso silenziosamente blocca l’aria. Fuori sembri solido. Dentro, non passa più nulla.

Non è “core stability”.
È autoprotezione.

Per chi non è del mestiere, la pancia che non si muove quando respiri non è “addome tonico”. È un corpo che non si fida più del rilascio. Quando impari a lasciarla andare, scopri che il respiro non entra nei polmoni..
entra nella vita.

Per i colleghi clinici, rigidità tonico-fasciale da over-recruitment del retto, obliqui e trasverso dell’addome; ridotta dinamica diaframmatica e ipertono addominale funzionale.

Rieducare la parete addominale non significa “rinforzare”, ma ridare elasticità a un tessuto che ha imparato solo a contenere.

E quindi?

La forza non è trattenere il respiro.
È permettersi di respirare anche quando fa male.

L’addome non serve a farti sembrare forte.
Serve a ricordarti che puoi abbassare la guardia.

Prova ora: metti una mano sul petto e una sulla pancia. Inspira. Quale si muove di più?

Gli addominali non mentono. A volte.. raccontano solo quanto a lungo hai trattenuto.

Post divulgativo a scopo educativo.
Non sostituisce la valutazione fisioterapica personalizzata.

07/11/2025

Tutti pensano che il gomito sia solo una cerniera.

Falso.

È un diplomatico che ogni giorno media tra due mondi in guerra: la forza della spalla e la precisione della mano.

Guarda l’immagine. Dentro quel piccolo incastro tra omero, radio e ulna si nasconde una delle meccaniche più intelligenti del corpo. Ogni volta che prendi un bicchiere, digiti sul telefono o tiri una palla, il gomito deve stabilizzare come una spalla, ruotare come un polso, e farlo senza mai lamentarsi.

Eppure basta una piccola perdita di equilibrio (una spalla rigida, un polso bloccato, un computer usato troppo) e il gomito comincia a protestare con un messaggio chiaro: dolore laterale o mediale, le classiche tendinopatie laterali (LET) o mediali (MET) del gomito.

Per chi non è del mestiere. Il dolore al gomito non è un problema locale. È un effetto collaterale di un sistema che ha perso coordinazione. Se la spalla non accompagna e il polso non segue, il gomito resta nel mezzo.. e paga il conto.

Per i colleghi clinici: articolazione omero-ulnare (trocleare), radio-omerale, radio-ulnare prossimale: sinergia di flesso-estensione e prono-supinazione. Stabilità statica e dinamica sostenuta dal complesso collaterale mediale (UCL) e laterale (LCL), dal legamento anulare, dalla capsula anteriore e dal contributo dei muscoli stabilizzatori.

Pattern frequente: deficit di controllo scapolare e overuse estensorio che portano ad una LET, con coinvolgimento tipico dell’ECRB.

Pattern opposto (meno frequente): scarsa coordinazione scapolare e crollo del polso in flessione/ulnardeviazione con aumento della tensione nei flessori-pronatori che porta ad una MET.

Approccio consigliato: de-tensioning scapolo-omerale, ripristino della rotazione radio-ulnare, rieducazione neuromotoria fine distale e carico progressivo specifico su estensori o flessori-pronatori, con progressione calibrata sul quadro clinico.

E quindi?

Non rinforzare solo l’avambraccio.
Rieduca la catena: spalla–gomito–mano.
Perché il dolore al gomito non nasce dalla debolezza.. ma dalla disconnessione.

“Il gomito non cede perché è fragile.
Cede perché è rimasto solo a mediare una guerra tra spalla e mano.”

Fai questo test: stendi il braccio, ruota lentamente il palmo in su e poi in giù.
Dove senti la tensione? Verso il polso? Verso la spalla? Proprio sul gomito?

Il gomito non ti tradisce.
Si stanca solo di fare da paciere tra due estremi che non si parlano più.

Post divulgativo a scopo educativo.
Non sostituisce la valutazione fisioterapica personalizzata.

06/11/2025

🎉 È di nuovo giovedì! Benvenuti ad un nuovo episodio di “Muscolandia: esplorando la mappa dei muscoli!” 🎉

Oggi parliamo di un muscolo profondo, silenzioso, ma potentissimo. Non lo vediamo mai.. ma se smette di fare il suo lavoro, la nostra schiena lo sa eccome: il multifido!

Dettagli anatomici

Il multifido fa parte della muscolatura profonda paravertebrale e rientra nel gruppo dei muscoli trasversospinali.

Origina dal sacro, dalla cresta iliaca posteriore, dai legamenti sacroiliaci posteriori, dalla capsula articolare delle faccette lombari e dai processi trasversi delle vertebre lombari, toraciche e cervicali (C4–C7).

Si inserisce sui processi spinosi delle vertebre situate da due a quattro livelli sopra l’origine, arrivando fino all’asse (C2).

Innervazione: rami posteriori dei nervi spinali (da cervicale a sacrale).

Funzioni principali

Il multifido ha un compito nobile e costante: stabilizzazione segmentale della colonna vertebrale, controllo fine dei micro-movimenti vertebrali, estensione e rotazione controlaterale del rachide (azione monolaterale), mantenimento della lordosi fisiologica lombare.

È anche un muscolo di attivazione anticipatoria (feedforward): si attiva prima del movimento degli arti per stabilizzare il rachide e prevenire microinstabilità.

In altre parole: lavora prima che ce ne accorgiamo.

Tipi di dolore

Il multifido è spesso “spento” più che dolorante. Quando non funziona correttamente, la schiena perde la sua stabilità segmentale e altri muscoli (come psoas, quadrato dei lombi o erettori spinali) devono compensare, creando rigidità e dolore.

È spesso coinvolto in lombalgia cronica e instabilità funzionale lombare, disfunzioni posturali dovute a debolezza o asimmetria, inibizione riflessa dopo un episodio acuto (es. colpo della strega). Ma anche in atrofia selettiva post-dolore (visibile anche all’ecografia muscolare) e ridotto controllo motorio in pazienti con dolore recidivante.

Spesso non fa male di per sé, ma se non lavora quando serve, crea instabilità e sovraccarichi altrove (come nel quadrato dei lombi, psoas, o erettori spinali).

Funzione quotidiana

Il multifido non spinge e non tira. Stabilizza. Lavora sempre dietro le quinte per mantenere l’equilibrio in piedi o seduto, coordinare ogni piegamento o torsione del busto, sostenere il rachide nei movimenti degli arti (soprattutto in appoggio monopodalico) e proteggere la schiena in ogni gesto quotidiano (dallo spazzare al sollevare una borsa).

È un sorvegliante silenzioso della colonna.

Il multifido è anche un muscolo antigravitazionale, ma non nel senso classico dei grandi estensori che “spingono” il corpo verso l’alto. La sua forza è silenziosa e segmentale: agisce in profondità per mantenere ogni vertebra al suo posto, impedendo alla colonna di collassare sotto il peso del corpo.

Mentre i glutei e i polpacci lavorano per tenerti in piedi, il multifido mantiene l’assetto fine del rachide, assicurando che testa, tronco e bacino restino allineati anche nelle micro-variazioni posturali.

Fa parte della rete tonica antigravitazionale profonda, insieme al trasverso dell’addome, al diaframma e al pavimento pelvico. Quando questa squadra funziona in sinergia, la postura è stabile, dinamica e leggera. Quando il multifido “si spegne”, invece, la stabilità viene delegata ai muscoli superficiali e il risultato è una rigidità compensatoria che spesso sfocia in dolore lombare o fatica posturale.

In poche parole: non solleva il corpo dalla gravità.. ma impedisce alla gravità di schiacciarlo.

Esercizio di attivazione (Contrazione segmentale in quadrupedia)

1. Mettiti in quadrupedia (mani sotto le spalle, ginocchia sotto le anche)
2. Mantieni la schiena neutra, senza muoverla
3. Solleva lentamente un braccio o una gamba, mantenendo l’asse stabile
4. Ripeti per 10-12 volte, alternando lato e arto

Allena il multifido senza carico e in controllo, riattivandolo dopo inibizione da dolore. Il movimento deve essere minimo, più percepito che visibile. Puoi anche appoggiare due dita vicino ai processi spinosi per sentire il muscolo che “si accende”.

Esercizio di rinforzo (Bird-dog dinamico)

1. In quadrupedia, estendi simultaneamente un braccio e la gamba opposta
2. Mantieni per 5 secondi cercando di non muovere la colonna
3. Torna lentamente e cambia lato
4. Esegui 3 serie da 8 ripetizioni per lato

Rinforza il multifido in sinergia con altri stabilizzatori del core (trasverso, obliqui, pavimento pelvico).

🔬 Curiosità scientifica

Il multifido è uno dei pochi muscoli visibili all’ecografia dinamica, utile per valutare simmetria e reale attivazione. Oggi viene anche usato in biofeedback attivo: il paziente osserva in tempo reale la contrazione sullo schermo, imparando a reclutarlo consapevolmente.

Studi di imaging mostrano che, nei pazienti con lombalgia cronica, il multifido si atrofizza rapidamente e selettivamente, inibito da una strategia protettiva del sistema nervoso.

Solo esercizi di attivazione mirata e progressiva permettono di recuperare la funzione stabilizzatrice originaria.

Conclusione

Il multifido non fa scena.. ma fa la differenza.
È il guardiano della colonna, il freno a mano segmentale, la base invisibile del nostro equilibrio. Ignorarlo significa sottovalutare l’origine di molte lombalgie.

Allenarlo significa stabilità, controllo e prevenzione.

Ci vediamo giovedì prossimo per un nuovo episodio di “Muscolandia”.. dove anche i muscoli più piccoli, fanno cose giganti! 😁

04/11/2025

Finalmente è martedì! Benvenuti a un nuovo episodio di “Neurolandia: il sistema nervoso come non lo avete mai visto!”

Oggi ci occupiamo di un nervo che.. fa respirare! Letteralmente.

È il nervo frenico, il vero “direttore d’orchestra” del diaframma, quel muscolo tanto amato dai fisioterapisti (e anche dai polmoni). Senza di lui, il respiro si ferma. Ma spesso non lo conosce quasi nessuno.

Preparati a un tuffo nel torace.. e a scoprire un nervo più vitale di quanto pensi.

Dove sta?

Il nervo frenico nasce dal plesso cervicale, più precisamente dalle radici spinali C3, C4 e C5 (ricordino utile: “C3, 4, 5 keep the diaphragm alive”).

Decorre anteriormente al muscolo scaleno anteriore, nel collo; scende verso il torace, attraversando lo sbocco superiore del torace. Entra nel mediastino, passa davanti all’ilo polmonare e raggiunge il diaframma, dove si divide in rami terminali.

Ha due nervi simmetrici (destro e sinistro), ma con decorso leggermente diverso per via della posizione del cuore e del fegato.

Che cosa fa?

Il nervo frenico è prevalentemente motorio, con qualche ramo sensitivo. Controlla il diaframma, principale muscolo della respirazione. Invia segnali motori per ogni inspirazione attiva. I rami sensitivi innervano pleura, pericardio, peritoneo diaframmatico e capsula epatica (in parte).

Senza il suo comando, il diaframma non si muove: addio respiro spontaneo.

Come si lamenta?

Una lesione o irritazione del nervo frenico può causare paralisi diaframmatica (monolaterale o bilaterale), difficoltà respiratoria (dispnea soprattutto da sdraiati), singhiozzo persistente (spasmo riflesso del nervo), dolore riferito alla spalla o al collo (per via dell’origine cervicale e dell’innervazione della pleura).

Attenzione: il dolore diaframmatico può “ingannare” e sembrare un dolore cervicale o scapolare.

Ruolo nella vita quotidiana

Ogni tuo respiro passa da lui. Anche adesso, mentre leggi. Quando respiri profondamente, sbadigli, tossisci, fai un esercizio diaframmatico o ti emozioni.. il nervo frenico è lì, al lavoro.

E quando è disturbato, ogni movimento toracico può diventare faticoso.

Patologie e disfunzioni

Paralisi del diaframma per trauma, chirurgia toracica, patologie neurologiche (es. sclerosi laterale amiotrofica) ma anche irritazione da processi infiammatori (pleurite, pericardite, subfrenite), compressione cervicale (ernie, spondilosi, traumi a livello C3–C5) e singhiozzo cronico per irritazione riflessa.

Curiosità neurologica

Il nervo frenico può essere stimolato manualmente in alcuni approcci fisioterapici per facilitare la respirazione diaframmatica, specialmente dopo interventi chirurgici toracici o in riabilitazione post-COVID.

E.. il singhiozzo è un’aritmia respiratoria causata proprio da scariche involontarie del frenico!

Approccio fisioterapico

Il lavoro sul nervo frenico può essere indiretto ma efficace, attraverso la rieducazione respiratoria (respirazione diaframmatica guidata), alcune tecniche manuali di mobilizzazione toracica e viscerale, il trattamento della cervicale alta (zona di origine del nervo) mobilità del torace e del diaframma post-chirurgica e anche lavorando sullo psoas, con cui condivide stretti rapporti fasciali.

In caso di paralisi monolaterale, si lavora sul compenso respiratorio e sulla postura globale.

Conclusione

Il nervo frenico non si vede.. ma si sente, eccome se si sente! Ogni respiro è un suo piccolo capolavoro.

Se un giorno il respiro ti sembra più corto o fatichi a inspirare profondamente, forse il nervo frenico ti sta chiedendo attenzione. Non ignorarlo.

Respira, ascolta, rallenta.

Ci vediamo martedì prossimo su Neurolandia.. perché quando i nervi parlano, noi impariamo ad ascoltarli. 🤗

Nota bene

Anche se a Neurolandia i nervi parlano.. la diagnosi medica la fa il medico. Quindi, se i sintomi ti fanno compagnia da troppo tempo, ascolta i segnali e confrontati con un neurologo o uno specialista medico. Noi siamo qui per spiegarti come funzionano le cose, ma la cura parte sempre da una valutazione sanitaria. E spesso, il fisioterapista è proprio il primo professionista sanitario a intercettare quei segnali e indirizzare nel modo giusto. 👏

03/11/2025

È lunedì, ed eccoci di nuovo con “Anatomia Spassosa: esploriamo il corpo umano con un sorriso!” 😄

Oggi parliamo di una struttura spesso dimenticata, ma che in realtà lavora come una vera cinghia di trasmissione: il lacerto fibroso!

Non è un osso, non è un tendine.. e nemmeno un legamento. Il lacerto fibroso, chiamato anche aponeurosi bicipitale, è una espansione fibrosa del tendine del bicipite brachiale che si allarga come un ventaglio e si perde nella fascia dell’avambraccio.

È come il fiocco che chiude bene il pacco regalo del bicipite: discreto, ma indispensabile!

Cos’è e dov’è?

Origina dal tendine distale del bicipite brachiale e si irradia medialmente verso la fascia antibrachiale. Passa sopra l’arteria e il nervo mediano, facendo un po’ da “copertura protettiva”

Lo trovi quindi nel gomito, subito sotto la piega del braccio.

A cosa serve?

Distribuisce la forza del bicipite non solo sul radio (dove si inserisce il tendine principale), ma anche sulla fascia dell’avambraccio. Stabilizza e rinforza la fascia antibrachiale, proteggendo le strutture vascolari e nervose del gomito.

È un po’ come una cinghia di sicurezza che tiene in ordine muscoli e vasi della piega del gomito.

Funzionamento buffo

Immagina il bicipite come un supereroe che lancia un raggio laser.. ma prima di colpire, allarga un mantello che copre e difende chi sta sotto.
Quel mantello è il lacerto fibroso! 😅

Curiosità scientifica

In anatomia chirurgica, è un punto di repere fondamentale: per esempio nelle operazioni per sindrome del lacerto fibroso, dove può comprimere il nervo mediano o l’arteria brachiale.

In alcuni casi, se molto spesso, può dare sintomi simili alla sindrome del tunnel carpale, ma localizzati al gomito!

Viene sempre citato quando si parla di flogosi del bicipite o nei casi di compressione vascolare in piega cubitale.

Nella vita di tutti i giorni

Anche se non lo sai, il tuo lacerto fibroso lavora quando sollevi la spesa, fai trazioni o flessioni sulle braccia, pieghi il gomito stringendo qualcosa con forza.

Parole complicate, spiegate semplici

Aponeurosi: una lamina fibrosa larga e piatta, diversa da un tendine stretto.

Bicipite brachiale: il muscolo del “pallottolone” sul braccio.

Fascia antibrachiale: il tessuto che avvolge i muscoli dell’avambraccio.

Compressione neurovascolare: quando un tessuto schiaccia nervi e vasi.

Come può soffrire?

Ispessimento del lacerto, con una compressione del nervo mediano o dell’arteria brachiale. Sindrome del lacerto fibroso, con dolore e formicolio al gomito e all’avambraccio, e traumi o tensioni del bicipite con infiammazioni trasmesse anche al lacerto.

Momento educativo leggero

Quando alleni il bicipite, ricorda che non lavora solo lui: il lacerto fibroso trasmette forze anche all’avambraccio. Stretching e rinforzo equilibrato riducono il rischio di compressioni. Se senti formicolio o dolore in piega di gomito, non sempre è “solo tendinite”: potrebbe esserci di mezzo anche lui!

Conclusione

Il lacerto fibroso è come una fascetta zip: piccola, nascosta, ma senza di lei il pacco del bicipite non starebbe mai in ordine. La prossima volta che fletti il gomito, pensaci: c’è anche lui a lavorare in silenzio per te!

Ci vediamo lunedì prossimo con un’altra curiosità del corpo umano.. sempre con il sorriso! 😁

01/11/2025

Ed eccoci nuovamente alle porte del fine settimana, per un nuovo episodio di "Patologie Spiritose: tra curiosità e leggerezza"! Oggi parliamo di una condizione che molti scoprono per caso, magari guardandosi allo specchio o dopo uno sforzo: la diastasi addominale. Sì, perché a volte anche i muscoli più uniti del corpo, i retti dell’addome, decidono di prendersi.. un po’ di spazio personale! 😜

Cos’è e dov’è?

La diastasi addominale è una separazione eccessiva tra i due muscoli retti dell’addome, quelli che normalmente formano la famosa “tartaruga”. Tra di loro c’è una struttura fibrosa chiamata linea alba, che può cedere o allungarsi, creando un “vuoto” visibile al centro dell’addome, soprattutto quando ci si alza da sdraiati o si tossisce.

In pratica: gli addominali smettono di fare squadra e lasciano spazio a una piccola “galleria centrale”.

Curiosità divertente

La diastasi è spesso chiamata “la crepa dell’addome”.. ma tranquilli, non serve stucco! È molto comune dopo la gravidanza (colpisce fino al 60% delle donne) e può comparire anche in uomini che fanno troppi esercizi addominali scorretti o aumentano di peso rapidamente.

Insomma, la “tartaruga” a volte non è rotta, si è solo un po’ allargata!

Come si sviluppa?

Durante la gravidanza o situazioni di pressione addominale elevata (come obesità o sforzi intensi), la linea alba si estende e perde tono. Dopo il parto o la riduzione del carico, la struttura dovrebbe retrarsi.. ma non sempre succede.

Quando la separazione supera i 2 cm, si parla di vera e propria diastasi.

I sintomi possono includere gonfiore o “bozzo” centrale sull’addome, debolezza del core e difficoltà nel sollevarsi da terra, mal di schiena lombare o senso di instabilità del tronco. Nei casi più importanti, disturbi digestivi o respiratori.

Nella vita quotidiana

La diastasi può essere più fastidiosa che dolorosa, ma influisce sulla funzionalità. Difficoltà nei movimenti che coinvolgono il “core”, maggior rischio di ernie ombelicali, sensazione di “cedimento” quando si tossisce, ride o si sollevano pesi.

Molti pazienti raccontano di sentirsi “molli” al centro, come se mancasse un punto di forza nel tronco.

Parole complicate, spiegate semplici

Linea alba: la fascia fibrosa che unisce i due muscoli retti addominali.

Retti dell’addome: i muscoli verticali dell’addome, protagonisti della “tartaruga”.

Core: insieme di muscoli che stabilizzano bacino e colonna.

Accenni di fisioterapia

La fisioterapia è fondamentale nel trattamento conservativo della diastasi addominale! Esercizi di rieducazione addominale profonda, come l’attivazione del trasverso dell’addome, per “ricucire” la linea alba dall’interno. Tecniche respiratorie mirate, per migliorare il controllo pressorio e la stabilità. Educazione posturale e gestione dello sforzo: imparare a sollevare, tossire e muoversi senza aumentare la pressione intra-addominale. Evitare crunch e addominali classici, che peggiorano la separazione.

Nei casi più gravi, può essere utile il supporto di un chirurgo per una plicatura addominale.

Curiosità scientifica

La ricerca mostra che la rieducazione funzionale posturale e respiratoria riduce la distanza tra i retti fino al 30-40% nei casi lievi e moderati. Inoltre, il recupero del trasverso dell’addome è considerato oggi l’elemento chiave per la stabilità del core e la prevenzione di recidive.

Conclusione

La diastasi addominale non è solo un “problema estetico”, ma un segnale che il corpo chiede un nuovo equilibrio. Con la fisioterapia, la consapevolezza e il lavoro sul respiro, si può “ricucire” la linea alba e ritrovare forza.. nel centro del corpo e della vita!

A sabato prossimo per il prossimo episodio! 🤗

31/10/2025

Tutti credono che il ginocchio vada “rinforzato”.

Falso.

Il ginocchio non chiede forza.. chiede chiarezza.

Guarda bene quest’immagine. Due muscoli, uno dentro e uno fuori: il vasto mediale, preciso come un chirurgo; il vasto laterale, potente come un bulldozer.

Quando lavorano insieme, la rotula scivola perfetta. Quando uno dei due prende il comando, il ginocchio comincia a urlare.

Per chi non è del mestiere..

Hai mai sentito quella f***a davanti al ginocchio quando sali le scale o ti alzi dalla sedia?

Non è l’artrosi.

È la tua rotula che non sa più da chi farsi guidare.
Il muscolo interno (vasto mediale) tira con precisione, il laterale spinge con forza. Se uno accelera e l’altro frena.. la rotula va fuori pista.

Per i colleghi clinici..

Disallineamento femoro-rotuleo da iperattività del VL e pattern descritto classicamente come “deficit di VMO”, spesso in catene anteriori dominate, con tilt rotuleo laterale e dolore antero-mediale. Pattern da “quadricipite disarmonico”: il ginocchio perde la capacità di centraggio dinamico.

La soluzione non è il rinforzo selettivo, ma il retraining coordinativo e propriocettivo del sistema quadricipitale.

E quindi?

Non chiedere al ginocchio di spingere. Chiedigli di coordinarsi. Il dolore anteriore non è una punizione: è un promemoria.

Il ginocchio non ha bisogno di muscoli forti.
Ha bisogno di muscoli che si parlano.

Fai questo test ora!

Siediti, distendi la gamba e guarda la rotula.
Si muove dritta o devia leggermente di lato?
Scrivilo nei commenti!

Il ginocchio non è fragile. È solo stanco di fare da arbitro a una lite tra due fratelli: il mediale e il laterale.

Post divulgativo a scopo educativo.
Non sostituisce la valutazione fisioterapica personalizzata.

P.s. Ci rendiamo conto che è un’eccessiva semplificazione la nostra, pensata solo per rendere più immediata la lettura dell’immagine. Tutto quello che è emerso nei commenti è assolutamente corretto e prezioso: ognuno ha aggiunto un tassello importante a un tema che, in realtà, è molto più complesso e affascinante.

Invitiamo tutti a leggere i commenti con spirito critico e curiosità, perché lì dentro c’è davvero la parte più bella di questa storia: il confronto, la condivisione e la voglia di crescere insieme, professionisti sanitari e non, intorno alla meraviglia del corpo umano. 🫶

30/10/2025

Tutti credono che il dolore all’anca venga dai muscoli che si muovono.

Falso.

A volte viene da quelli che non si parlano più.

Guarda bene quest’immagine.
Lo psoas tira giù la colonna.
Il gluteo medio prova a tenerla su.
Il piriforme s’innervosisce.
E lo sciatico, poverino, passa in mezzo come un coinquilino che ha smesso di salutare.

Non è un gruppo muscolare.
È un triangolo amoroso tra bacino, colonna e respiro. E quando uno dei tre si sente trascurato.. indovina chi si lamenta?

Il dolore.

Provalo subito!

Appoggia una mano sull’inguine e una sul gluteo.
Respira lentamente.
Quale si muove per prima?

Se parte quella davanti, lo psoas comanda.
Se parte quella dietro, il gluteo risponde.
Se non si muove nulla.. il corpo ha messo il silenzioso. 🤭

Scrivilo nei commenti: davanti, dietro o fermo?
Scoprirai che ognuno di noi respira in modo diverso.. ma solo chi respira bene cammina leggero.

Per i colleghi clinici

Dominanza anteriore, iperattività psoas–TFL, inibizione gluteo medio e instabilità pelvica. Rieducare la sinergia psoas–diaframma–gluteo significa restituire feedforward stability e decompressione lombare.

Tradotto: quando il respiro non guida, la catena profonda si difende, non funziona.

E quindi?

Non chiedere al corpo di diventare forte.
Chiedigli di ritrovare la conversazione.
Ogni dolore è un messaggio in attesa di essere tradotto.

Lo psoas è il filo che unisce cervello, respiro e cammino.

Hai mai sentito “tirare” davanti all’inguine o dietro al gluteo quando ti alzi dal divano?
Scrivi nei commenti DOVE lo senti di più.

Post divulgativo a scopo educativo.
Non sostituisce la valutazione fisioterapica personalizzata.

Indirizzo

Via Edmondo Vicentini, 67
L'Aquila
67100

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