Carla Fiorenza Fisioterapista

Carla Fiorenza Fisioterapista Fisioterapia, Riabilitazione

c/o EOSPA

Massoterapia terapeutica o preventiva
Massaggi total body
Kinesiterapia
Rieducazione posturale
Limfa
Linfodrenaggio
Tecar
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Tens
Elettrostimolazione
riabilitazione in acqua
recupero funzionale
ginnastica posturale
riabilitazione post-chirurgica
riabilitazione protesi
riabilitazione sportiva
riabilitazione propriocettiva

05/08/2025

Finalmente è martedì! Benvenuti al secondo episodio di “Neurolandia: il sistema nervoso come non lo avete mai visto!”

Oggi parliamo di un nervo celebre, spesso nominato, a volte accusato. Il suo nome lo conoscono in molti, anche i non addetti ai lavori, e probabilmente l’avete già sentito citare tra un “ho la sindrome del tunnel carpale” e un “mi si addormentano le dita di notte”.

Lui è il nervo mediano, il vero trafficante di informazioni tra il cervello e la mano.

Dove sta?

Il nervo mediano nasce dal plesso brachiale, precisamente dall’unione delle radici C5-T1. Dopo aver fatto amicizia con arterie e muscoli, scende lungo il braccio senza innervare nulla (fin qui fa solo il turista), poi comincia a lavorare seriamente nell’avambraccio e nella mano.

Scende lungo la fossa cubitale, passa tra i capo omerale e ulnare del muscolo pronatore rotondo,
attraversa l’arcata del flessore superficiale delle dita, e infine entra nel tunnel carpale, sotto il legamento trasverso del carpo, per raggiungere la mano, dove si divide in rami terminali.

Che cosa fa?

È un nervo misto: ha fibre motorie e sensitive.

A livello motorio, nell’avambraccio innerva i muscoli flessori radiali, pronatori e flessore lungo del pollice. Nella mano, controlla i muscoli tenar (pollice in opposizione!) e i lombricali I e II.

A livello sensitivo porta le informazioni sensitive dal palmo della mano (lato radiale), dal primo, secondo, terzo e metà del quarto dito (versante palmare), e dalla parte distale dorsale delle prime tre dita.

Insomma, se riesci a pinzare una molletta, a sentire il touchscreen del telefono o a fare il gesto “OK”, devi ringraziare il nervo mediano. 🫶

Come si lamenta?

Il nemico numero uno? La sindrome del tunnel carpale. Quando il nervo viene compresso nel canale carpale, iniziano i guai.

Formicolio, intorpidimento e bruciore a pollice, indice, medio e metà dell’anulare. Sintomi notturni o mattutini, spesso con bisogno di “scuotere la mano” per trovare sollievo.

Nei casi avanzati: atrofia dei muscoli tenar, perdita della forza di prensione fine e scivolamento degli oggetti dalla mano.

Può lamentarsi anche più in alto, nell’avambraccio (compressione pronatore rotondo) o al gomito.

Ruolo nella vita quotidiana

Il nervo mediano è il project manager della tua mano: coordina movimenti fini, sensibilità tattile, forza e destrezza.

Lavora duramente quando digiti al computer, usi il mouse o lo smartphone, afferri oggetti, fai il gesto “pollice contro le altre dita” (es. infilare ago, raccogliere monetine, ecc.).

Se perde efficienza, lo noti subito.

Patologie e disfunzioni

Sindrome del tunnel carpale (la più famosa): compressione a livello del polso.

Sindrome del pronatore rotondo: compressione nell’avambraccio.

Neuropatia traumatica (fratture, lussazioni, lesioni iatrogene).

Neuropatia compressiva secondaria (tenosinoviti, edema, gravidanza, diabete).

Curiosità neurologica

La sindrome del tunnel carpale è la neuropatia periferica più comune nella popolazione generale.
Ma attenzione: non tutti i formicolii notturni sono tunnel carpale!

Molti sono disturbi posturali, compressioni più prossimali, o anche disfunzioni del sistema nervoso centrale che mimano la sindrome.

Approccio fisioterapico

Un trattamento mirato può prevedere una valutazione differenziale per escludere cause cervicali, plessiche o metaboliche.

Tecniche neurodinamiche (sliding e tensioning del mediano), mobilizzazione del tunnel carpale e tessuti circostanti, esercizi specifici per migliorare la funzionalità muscolare e il reclutamento motorio (tenar e flessori).

Educazione posturale e modifica delle attività ripetitive sono indispensabili, può essere utile il taping decompressivo e tecniche manuali locali.

Se indicato, l’uso di splint notturni per ridurre la pressione nel tunnel.

Conclusione

Il nervo mediano non ama gli spazi stretti, ma si fa in quattro per farti usare la mano con precisione.
Quando comincia a lamentarsi, non ignorarlo: il tuo pollice potrebbe non perdonarti!

E se ogni notte ti svegli a “scuotere la mano”.. beh, forse è arrivato il momento di ascoltarlo.

Ci vediamo martedì prossimo su Neurolandia.. perché quando i nervi parlano, noi impariamo ad ascoltarli. 🤗

Nota bene
Anche se a Neurolandia i nervi parlano.. la diagnosi medica la fa il medico. Quindi, se i sintomi ti fanno compagnia da troppo tempo, ascolta i segnali e confrontati con un neurologo o uno specialista medico. Noi siamo qui per spiegarti come funzionano le cose, ma la cura parte sempre da una valutazione sanitaria. E spesso, il fisioterapista è proprio il primo professionista sanitario a intercettare quei segnali e indirizzare nel modo giusto. 👏

04/08/2025

Ed eccoci di nuovo in questo splendido lunedì con un nuovo episodio di “Anatomia Spassosa: esploriamo il corpo umano con un sorriso!” 😄

Oggi andiamo a esplorare un’area del corpo strategica, elegante e.. geometrica: il triangolo femorale! Una vera e propria porta di accesso all’interno della coscia, che i chirurghi conoscono come le loro tasche (e noi oggi lo scopriremo insieme).

Si chiama triangolo perché.. beh, ha tre lati! 😄
Ma non lasciarti ingannare dalla forma: al suo interno passano strutture vitali, come arterie, vene e nervi, e rappresenta un punto chiave per la circolazione, la sensibilità e perfino per alcune emergenze mediche.

Cos’è e dov’è?

Il triangolo femorale è una regione anatomica situata nella parte anteriore-superiore della coscia, vicino all’inguine. Lo si può immaginare come un triangolo rivolto verso il basso, con confini ben precisi:

Base (superiore): legamento inguinale

Lato mediale: margine mediale del muscolo adduttore lungo

Lato laterale: margine mediale del muscolo sartorio

Pavimento: muscoli ileopsoas e pettineo

Tetto: fascia lata (che lo ricopre come un telo teso)

Cosa contiene? (e perché è importante)

Dentro questo triangolo passa una vera autostrada di strutture fondamentali, da laterale a mediale (facile da ricordare con la sigla NAVe, che entra nel porto pelvico):

Nervo femorale
Arteria femorale
Vena femorale
e.. canale dei linfatici (e la lacuna linfatica)!

Per questo il triangolo femorale è spesso chiamato “porta d’ingresso” alla gamba: ci passano il sangue, i segnali nervosi e la linfa!

Curiosità divertente

Il triangolo femorale è una delle prime zone palpabili dove il medico cerca il polso dell’arteria femorale. E sai che in medicina d’urgenza si può perfino usarlo per introdurre un catetere direttamente nel cuore, tramite l’arteria? 😲
Insomma, è un triangolo d’élite, non uno qualunque!

Funzionamento buffo

Immagina il triangolo femorale come un tunnel VIP: arteria, vena e nervo scorrono uno accanto all’altro, protetti e ordinati, pronti a distribuire sangue, comandi e informazioni alla coscia e alla gamba. È come una corsia preferenziale della fisiologia!

Nella vita di tutti i giorni

Anche se non ci pensi mai, questo triangolo lavora ogni giorno per far arrivare il sangue alla coscia e alla gamba, ricevere stimoli nervosi per i muscoli anteriori e smaltire i liquidi in eccesso con i linfonodi.

E quando fai uno scatto improvviso, o senti formicolio all’inguine.. potresti proprio star stimolando uno dei suoi abitanti!

Parole complicate, spiegate semplici

Legamento inguinale: una “corda” fibrosa tra spina iliaca antero-superiore e p**e.

Sartorio: il muscolo più lungo del corpo, passa in diagonale sulla coscia.

Adduttore lungo: muscolo che avvicina la coscia all’altra.

Ileopsoas e pettineo: muscoli profondi che formano il pavimento del triangolo.

Fascia lata: la guaina connettivale che copre tutto.

Come può soffrire?

Ernia femorale: fuoriuscita di visceri nella lacuna vascolare (più frequente nelle donne).

Dolore da compressione del nervo femorale: fastidio irradiato nella coscia.

Linfoadenopatia inguinale: linfonodi ingrossati, a volte visibili nel triangolo.

Traumi: una botta in quella zona.. si sente eccome! 😬

Momento educativo leggero

Mantieni forte e mobile la zona anteriore del bacino (iliaco e psoas), fai attenzione alla postura in piedi per non comprimere la zona ed evita pressioni dirette e prolungate sul triangolo, specialmente se sei seduto a gambe incrociate o su superfici rigide.

Curiosità scientifica

Il triangolo femorale è sede d’elezione per accessi vascolari centrali, come nella coronarografia o nella somministrazione di farmaci in emergenza.
In fisioterapia, è anche un punto di repere per il rilascio miofasciale, e una zona delicata da evitare in certi trattamenti manuali intensi.

Conclusione con sorriso

La prossima volta che metti la mano sull’inguine o senti il battito sulla coscia, pensa al tuo triangolo femorale, il piccolo salottino dove passano i grandi ospiti della tua gamba.

Ci vediamo la prossima settimana per un’altra esplorazione del corpo umano.. sempre con il sorriso! 😄

31/07/2025

🎉 È di nuovo giovedì! Benvenuti ad un nuovo stupendo episodio di "Muscolandia: esplorando la mappa dei muscoli!" 🎉

Oggi scivoliamo verso la parte bassa della schiena per conoscere un muscolo sottile, profondo e silenzioso, ma fondamentale per il respiro e la stabilità lombare: il dentato posteriore inferiore.

Dettagli anatomici

Il muscolo dentato posteriore inferiore (musculus serratus posterior inferior) è un muscolo piatto e triangolare, che si trova tra il torace e la parte superiore dei lombi, al di sotto del grande dorsale.

Origina dai processi spinosi di T11, T12, L1 e L2, e si inserisce sui margini inferiori della 9ª, 10ª, 11ª e 12ª costa

Innervazione: nervi intercostali IX–XII (rami anteriori T9–T12)

Funzioni principali

Abbassa le coste inferiori durante l’espirazione forzata, stabilizza le coste fluttuanti durante il movimento del tronco e collabora con altri muscoli per mantenere la pressione intra-addominale.

Tipi di dolore

Il dentato posteriore inferiore può essere implicato in:

- dolori lombari bassi di origine miofasciale.
- sensazioni di tensione toracolombare, specie durante respirazione profonda.
- trigger point riferiti nella zona costale bassa o sacrale.
- compensazioni in caso di debolezza addominale o diaframmatica.
- dolori “a fascia” a livello delle coste inferiori, spesso confusi con problemi viscerali o renali.

Funzione quotidiana

Si attiva ogni volta che espiri forzatamente o stabilizzi il core con un carico, per esempio soffiando con forza (su una candela, durante uno sforzo), tossendo o starnutendo, sollevando un peso pesante da terra, durante un colpo di tosse violento o una risata intensa, in esercizi come squat o deadlift.

🏋️ Esercizio di allungamento (Stretching in estensione toracolombare)

1. Mettiti in piedi con le mani appoggiate dietro la schiena, all’altezza lombare
2. Inspira profondamente, poi espira ed estendi lentamente il busto indietro, aprendo la parte bassa del torace
3. Mantieni per 20–30 secondi, poi torna in posizione neutra
4. Ripeti 3 volte, senza forzare

Utile per decongestionare la zona toracolombare e liberare le ultime coste.

🏋️ Esercizio di rinforzo (Espirazione attiva da seduti)

1. Siediti diritto con le mani sulle ultime coste
2. Inspira normalmente, poi espira lentamente contraendo gli addominali bassi
3. Durante l’espirazione, prova a spingere le coste verso il basso e verso dentro, sentendo l’attivazione nella zona lombare profonda
4. Mantieni 3–5 secondi, poi rilassa
5. Ripeti per 8–10 volte

Rinforza il dentato posteriore inferiore e migliora il controllo dell’espirazione profonda.

🔬 Curiosità scientifica

Il dentato posteriore inferiore ha una stretta connessione fasciale con il grande dorsale e la fascia toracolombare, formando una sorta di “rete di stabilità posteriore” che collega spalle, torace e pelvi. La sua alterazione motoria può influenzare la biomeccanica respiratoria e lombopelvica!

Conclusione

Il dentato posteriore inferiore è un muscolo piccolo ma centrale nella gestione del respiro, della postura e della stabilità lombare. Non va trascurato: mantenerlo elastico e attivo può aiutare a prevenire fastidi lombari e migliorare la respirazione profonda.

Ci vediamo giovedì prossimo per un nuovo episodio di Muscolandia, dove ogni muscolo conta! 😁

27/07/2025

Ed eccoci nuovamente alle porte del fine settimana, per un nuovo episodio di "Patologie Spiritose, dove affrontiamo i malanni.. tra curiosità e leggerezza!"

Oggi parliamo di un disturbo che arriva senza invito e si piazza lì a farti compagnia: la contrattura muscolare. Se dopo uno sforzo senti un dolore fisso e duro come un sasso.. beh, il tuo muscolo ha deciso di fermare i giochi!

Cos’è e dov’è?

La contrattura muscolare è una contrazione involontaria, persistente e dolorosa di un muscolo o di una parte di esso. Diversamente da uno strappo, non c’è una lesione delle fibre, ma solo un irrigidimento e un accumulo di metaboliti che bloccano il rilassamento.

È il modo che il muscolo ha per dirti: “Ehi, rallenta un attimo!”

Curiosità divertente

In molti la confondono con il crampo o lo stiramento, ma la contrattura è più paziente: non ti prende di sorpresa come un crampo, né si lacera come uno stiramento. Si limita a rimanere lì, rigida e dolente, finché non decidi di prendertene cura. Un po’ come un ospite invadente! 🫠

Come si sviluppa?

Può comparire per uno sforzo eccessivo o prolungato (ad esempio un allenamento intenso), movimenti ripetitivi senza pause, postura scorretta mantenuta a lungo, freddo muscolare (esercizio senza riscaldamento).

Il muscolo si irrigidisce per autoproteggersi e ridurre il rischio di danni. Ma nel frattempo.. fa male!

Nella vita quotidiana

La contrattura si manifesta con dolore localizzato e costante, rigidità evidente alla palpazione (il famoso “cordone duro” del "nervo accavallato" 😝) e difficoltà nei movimenti.

I punti più colpiti? Schiena, collo, polpacci e cosce.

Parole complicate, spiegate semplici

Contrattura: una contrazione involontaria e persistente di un muscolo.

Metaboliti: sostanze di scarto che si accumulano nel muscolo quando lavora troppo.

Accenni di fisioterapia

La fisioterapia aiuta a rilassare il muscolo con tecniche manuali, massaggio decontratturante e stretching dolce, favorisce il riassorbimento dei metaboliti, migliora la circolazione locale (anche con terapie fisiche strumentali) e ripristina la mobilità, prevenendo recidive con esercizi mirati.

Un consiglio: mai forzare l’allungamento quando il dolore è intenso!

Curiosità scientifica

Sapevi che le contratture possono anche comparire dopo uno stress emotivo intenso? Le tensioni psicologiche si riflettono sui muscoli, soprattutto cervicali e lombari. Ecco perché un periodo di ansia può trasformarsi in mal di schiena cronico.

Conclusione

La contrattura muscolare è un messaggio chiaro: il tuo corpo ti chiede un po’ di tregua e attenzione. Con un trattamento mirato, un po’ di riposo attivo e tanta pazienza, tornerai a muoverti senza dolori.

A sabato prossimo per il prossimo episodio! 🌟

27/07/2025

"Roby, ma il gastrocnemio è più pronatore o supinatore rispetto al soleo?"

Domanda arrivata da una collega qualche giorno fa, e la risposta meritava un post. Perché dietro un dubbio biomeccanico si nasconde un’intera catena di eventi funzionali che.. parte dal polpaccio e arriva fino al piede!

Ho risposto d’istinto, certo. Ma poi ho voluto confrontarmi con un collega che stimo molto, Marco Ferrara, per andare più a fondo.

Questo post è il frutto di quella riflessione condivisa. Buona lettura!

Quando ti metti sulle punte.. dove va il carico?

Se ti sollevi in monopodalico sulle punte e noti che il piede scappa verso l’esterno (spostando l’appoggio sul quinto metatarso), sappi che non è solo una questione di controllo: è biomeccanica.

Il gastrocnemio, soprattutto il capo mediale, ha un orientamento obliquo che può generare un vettore supinatorio accessorio, spingendo il calcagno in varismo e l’avampiede in abduzione.

Questa supinazione passiva è ancora più evidente in soggetti con piede cavo, rigidità del retropiede o dominance dei muscoli propulsivi a scapito di quelli stabilizzatori.

Il soleo, invece?

Fibre verticali, orientamento centrato, azione puramente plantarflessoria. È più uno stabilizzatore che accompagna, non un vero regista del carico.

Non agisce sulle rotazioni subtalari, ma controlla eccentricamente l’avanzamento della tibia sull’astragalo. In caso di pronazione funzionale, può diventare iperattivo come compenso stabilizzante.

Perché parliamo più del mediale?

Perché è più potente del laterale. Origina più medialmente e influisce di più sull’allineamento del retropiede. Collabora con il tibiale posteriore nella fase propulsiva per rigidificare il piede in supinazione.

Inoltre, il capo mediale ha una sezione trasversale maggiore e partecipa maggiormente alla generazione di forza nella fase di toe-off, contribuendo a una rotazione esterna del calcagno e a un carico mediale inefficiente se non bilanciato.

Il gastrocnemio laterale, sebbene attivo, ha un vettore più lineare e non modifica direttamente la meccanica dell’appoggio.

È più coinvolto nel controllo laterale della gamba e, se ipertonico, può aumentare la tensione sui peronieri e destabilizzare l’articolazione peroneo-astragalica, ma non induce supinazione o pronazione del retropiede.

Clinica e osservazione dinamica

Durante un test di heel raise monopodalico, osserva questi dettagli.

Il calcagno devia medialmente?
Il carico si sposta sul bordo esterno?
Il piede si irrigidisce troppo?

Potresti avere una dominanza gastrocnemica e un malfunzionamento dei controllori della pronazione (come il tibiale posteriore).

In particolare, un pattern tipico nei soggetti con instabilità funzionale o piede cavo è l’iperattivazione del gastrocnemio mediale e il deficit di attivazione del tibiale posteriore e degli intrinseci plantari.

Un altro segno clinico utile è la difficoltà nel mantenere l’allineamento dell’asse metatarso-calcaneare durante l’ultimo terzo del sollevamento: quando il gastrocnemio prende il sopravvento, il carico si sposta lateralmente.

Conclusione pratica?

Il soleo non è pronatore, ma può convivere con la pronazione. Il gastrocnemio mediale è supinatore accessorio, e se non bilanciato può alterare l’allineamento del piede durante la spinta.

Questo effetto è amplificato se manca il controllo intrinseco del piede e il bilanciamento della catena muscolare mediale (tibiale posteriore, flessore lungo dell’alluce, adduttore dell’alluce).

Lavorare sulla rieducazione della spinta, sulla stabilità in monopodalico e sull’attivazione differenziata può prevenire sovraccarichi come fascite plantare, metatarsalgia laterale o instabilità peroneale.

Come sempre, quest’azione combinata tra i vari protagonisti viene gestita da un complesso sistema che coinvolge l’intero corpo. Non bisogna mai fermarsi a un’analisi biomeccanica superficiale degli attori più diretti.

Osservare, comprendere, integrare. Perché il movimento è sempre il risultato di un’orchestra e mai di un assolo.

27/07/2025

Il dietro le quinte della tua nuca: dove nascono i movimenti e si nasconde la tensione!

Hai mai sentito quel fastidioso dolore dietro la testa dopo ore di computer o di stress? O la sensazione che qualcuno ti stia tirando un filo invisibile dalla nuca verso il cranio? Beh, non è magia: è opera di questo formidabile ensemble muscolare. Oggi ti porto a esplorare con la lente d’ingrandimento i protagonisti di questa sinfonia posturale.

FOCUS ANATOMICO – I maestri del movimento cervicale

Trapezio: la superstar più superficiale: avvolge collo e spalle, tira le scapole verso l’alto e indietro. È come un mantello che stabilizza e muove.

Splenio del capo e del collo: i tuoi muscoli “svolta testa”. Ti permettono di ruotare la testa elegantemente a destra e sinistra. Quando si irrigidiscono, ecco quel blocco da giraffa ferma.

Semispinale del capo e del collo: profondi e potenti: estendono la testa e la stabilizzano quando la fissi su un oggetto. Pensali come i “freni a disco” del collo.

Retti posteriori piccolo e grande: due piccole gemme che collegano l’occipite alle prime vertebre cervicali. Sono più importanti di quanto pensi: contribuiscono anche alla percezione del movimento (propriocezione).

Obliqui inferiore e superiore: formano il triangolo suboccipitale, un piccolo spazio da cui passa il nervo di Arnold. Se qui si crea tensione, puoi sentire cefalee cervico-geniche.

Sternocleidomastoideo: un muscolo imponente che gira e inclina la testa. Il suo tendine si annida lateralmente, mentre dietro si muovono i più fini stabilizzatori profondi.

TEST PRATICO

Vuoi capire chi si attiva quando ruoti la testa? Prova questo.

Ruota lentamente la testa a destra. Senti il lato sinistro che tira? Sono gli spleni e i semispinali che si allungano mentre i controlaterali si contraggono.

Ora inclina l’orecchio verso la spalla. Noti la tensione che cambia? Qui il trapezio e lo sternocleidomastoideo entrano in gioco.

Momento curioso

Lo sapevi che molti problemi cervicali non derivano solo dai muscoli superficiali, ma dalla tensione cronica dei piccoli suboccipitali? Sono loro che spesso mandano segnali di dolore riferito dietro l’occhio o la nuca.

Consiglio tecnico

Per migliorare la mobilità e ridurre la tensione, mobilizza dolcemente la colonna cervicale con movimenti lenti di flessione e rotazione. Rilassa i suboccipitali con un automassaggio (per esempio con una pallina morbida sotto la nuca). Allenati a distinguere le contrazioni superficiali (trapezio) da quelle profonde (retti e semispinali).

Riflessione finale, vi propongo due sfide.

La sfida del controllo fino. Riesci a muovere la testa senza sentire tutto il collo che si irrigidisce come un blocco unico? Questa è la vera prova di consapevolezza corporea.

Sfida del giorno. Siediti, appoggia le mani sulle spalle e ruota la testa lentamente. Riesci a percepire solo i muscoli profondi che lavorano, lasciando trapezio e sternocleidomastoideo rilassati? Se sì, stai diventando un artista del movimento!

Ora che conosci ogni attore dietro le tue vertebre cervicali, ricorda: la postura nasce anche da questi dettagli. Trattali con rispetto, concediti pause e piccoli esercizi di mobilità. La tua testa ti ringrazierà con leggerezza e chiarezza mentale.

27/07/2025

Benvenuti a un nuovo episodio di “Commenta che ti passa: dove i tuoi commenti trasformano i nostri post!” 🤭

Ogni volta partiamo da un contenuto condiviso, ma è il confronto tra colleghi, pazienti, esperti e curiosi a renderlo più ricco, completo e utile.

Buona lettura!

Tacchi e carico sull’avampiede: cosa succede davvero quando cambiamo altezza?

Quando si parla di calzature, spesso il discorso si limita a estetica e moda. Ma in fisioterapia, e nella biomeccanica clinica in generale, ogni centimetro di tacco racconta una storia ben più complessa: quella della distribuzione del carico sul piede e delle ripercussioni che può avere su tutto il corpo.

La biomeccanica del tacco: più sali, più spingi avanti, semplice no?

Quando il piede è piatto sul terreno (cioè senza tacco), la distribuzione del peso corporeo è relativamente bilanciata: circa il 43% del carico grava sull’avampiede, mentre il 57% resta sul tallone. Questa proporzione rappresenta una condizione fisiologica, che il corpo ha imparato ad assorbire e gestire nel tempo.

Ma basta salire anche solo di qualche centimetro per cambiare il gioco.

Con un tacco di 4 cm, la situazione si ribalta: il 57% del carico passa sull’avampiede e il 43% sul tallone.

A 6 cm, la spinta anteriore aumenta, con un 75% del carico sull’avampiede e solo un 25% sul tallone.

Sopra i 10 cm, si può arrivare a scaricare fino al 90-100% del peso sull’avampiede, con una quasi totale esclusione del tallone dal gioco di carico.

Questo significa un enorme aumento dello stress sulle articolazioni metatarsali, sui muscoli flessori plantari e su tutte le strutture connettivali coinvolte nella gestione del carico.

Il rischio biomeccanico: dal piede alla colonna.

Il sovraccarico dell’avampiede può portare a condizioni dolorose e adattamenti posturali compensatori. Le metatarsalgie, ad esempio, sono tra le conseguenze più frequenti, ma non le uniche.

Una tensione continua sull’avampiede può contribuire nel tempo a sviluppare alluce valgo, deformità delle dita e ispessimenti plantari. Può creare squilibri muscolari e articolari a carico della caviglia, del ginocchio e dell’anca, alterando l’orientamento del bacino e la curvatura lombare. Tutto ciò può arrivare a modificare la postura globale.

Come osservato anche da Marco: “il punto non è tanto solo quanto carico si sposta, ma dove e come il piede dovrebbe stare quando è ben educato a farlo.”

Idealmente, un piede rieducato distribuisce il carico a terra con una ripartizione funzionale: 50% sul tallone, 40% sul primo metatarso, 10% sul quinto. Un equilibrio che favorisce stabilità, efficienza e postura corretta.

Ed è proprio da qui che nasce una delle riflessioni più importanti: sono le scarpe a doversi adattare ai nostri piedi, non il contrario.

“Barefoot o tradizionali?” Chiede Marina.

Nel dibattito che spesso anima le discussioni tra fisioterapisti, runner e pazienti, il tema delle scarpe barefoot (o minimaliste) divide. Ma è importante chiarire: non si tratta di moda, si tratta di funzione.

Come spiegato in risposta a Marina, le scarpe barefoot sono pensate per riprodurre la camminata a piedi nudi, permettendo una distribuzione più naturale del carico e stimolando i muscoli intrinseci del piede. Tuttavia, non sono adatte a tutti.

Chi non è abituato deve procedere con gradualità, proprio per evitare dolori o sovraccarichi. In questi casi, l’uso delle barefoot può e deve essere accompagnato da esercizi mirati, valutazione clinica e adattamento progressivo.

Una buona calzatura, sia essa barefoot o tradizionale, dovrebbe sempre rispettare tre criteri fondamentali.

Prima di tutto una suola flessibile, che consenta al piede di muoversi liberamente.
In secondo luogo uno spazio sufficiente per le dita, evitando compressioni e per ultimo un supporto adeguato, calibrato sul tipo di piede e sul livello di attività della persona.

Lo ha sottolineato bene anche Andrea, suggerendo (con ironia) di conservare il post come risposta pronta per chi critica le calzature barefoot: il punto non è schierarsi, ma capire quando e per chi sono adatte.

E la lunghezza del piede? Un fattore spesso dimenticato!

Una delle osservazioni più tecniche ma fondamentali è arrivata da Valeria, che ha posto un quesito tanto semplice quanto trascurato:

“Un tacco da 10 cm ha lo stesso effetto su un piede numero 36 e su un 41?”

La risposta è: assolutamente no. La lunghezza del piede cambia radicalmente l’inclinazione del piede stesso all’interno della scarpa, e di conseguenza la distribuzione del carico sull’avampiede.

Inoltre, aspetti come il cavismo, la dominanza del primo dito o la forma dell’arco plantare modificano ulteriormente l’effetto finale del tacco. Ogni piede ha la sua storia, la sua meccanica e le sue vulnerabilità. E riconoscerlo significa aprire la strada alla personalizzazione delle calzature e a una valutazione fisioterapica sempre più individualizzata.

Il consiglio pratico (con un tocco di buon senso) 😌

Se stai pensando di passare alle barefoot, inizia con cautela e criterio. Dai tempo al piede di adattarsi, lavora sull’elasticità, sulla forza dei muscoli plantari e sulla propriocezione. E se invece preferisci scarpe più strutturate, punta a comfort, flessibilità e rispetto della tua biomeccanica personale.

Come direbbe Gianni: “non è il piede che si deve adattare alla scarpa, ma il contrario.”

Avrete capito che il piede è una struttura dinamica, sensoriale, adattiva. Il tacco è solo un centimetro in più, ma può diventare un chilometro di differenza nella tua postura.

Questo contenuto è stato aggiornato e migliorato grazie ai commenti e alle osservazioni ricevute: un esempio concreto di come la conoscenza cresca nel dialogo.

Se l’hai trovato utile, condividilo con chi potrebbe beneficiarne: colleghi, studenti, pazienti o semplici curiosi.

E se anche tu hai qualcosa da aggiungere.. commenta che ti passa! 😉

Il prossimo episodio potrebbe nascere proprio dalla tua esperienza. 👏

24/07/2025

🎉 È di nuovo giovedì! Benvenuti ad un nuovo episodio di "Muscolandia: esplorando la mappa dei muscoli!" 🎉

Oggi saliamo nella zona toracica per incontrare un muscolo spesso dimenticato, ma importantissimo per la respirazione e la stabilità del dorso: il dentato posteriore superiore.

Dettagli anatomici

Il muscolo dentato posteriore superiore (in latino musculus serratus posterior superior) è un muscolo sottile, quadrilatero, situato nella parte posteriore del torace, sotto il trapezio e sopra gli erettori spinali.

Origina dalla parte inferiore del legamento nucale e dai processi spinosi di C7-D3 (a volte fino a D4).
Si inserisce sui bordi superiori della 2ª, 3ª, 4ª e 5ª costola

Innervazione? Nervi intercostali I–IV (rami anteriori di T1–T4)

Funzioni principali

Solleva le coste durante l’inspirazione forzata (muscolo inspiratorio accessorio), stabilizzando il torace in alcuni movimenti del tronco e collaborando nella propriocezione toracica (grazie ad una ricca innervazione).

Tipi di dolore

Il dentato posteriore superiore può essere implicato in dolore dorsale alto con irradiazione verso la scapola, tensioni respiratorie nei soggetti con respirazione toracica cronica e trigger point riferiti tra colonna e margine mediale scapolare.

Anche posture scorrette prolungate, come chi lavora al computer o guida a lungo
e compensazioni in presenza di debolezza del diaframma.

Funzione quotidiana

Ogni volta che inspiri profondamente, il dentato posteriore superiore si attiva!
Vi faccio alcuni esempi: durante lo sbadiglio, quando annusi profondamente, nei colpi di tosse e durante l’attività fisica intensa (corsa, ciclismo, arrampicata)

È un piccolo aiutante della tua respirazione.. che lavora in silenzio ogni giorno.

🏋️ Esercizio di allungamento (Stretching dorsale in estensione)

1. Mettiti a carponi con le mani sotto le spalle e le ginocchia sotto i fianchi
2. Inspira profondamente mentre inarchi la schiena verso il basso (estensione)
3. Espira e spingi il petto verso il pavimento, aprendo la gabbia toracica
4. Mantieni 20-30 secondi, poi rilassa e ripeti 3 volte

Aiuta a mobilizzare la colonna toracica e a decomprimere le coste superiori

🏋️ Esercizio di rinforzo (Respiro resistito in flessione laterale)

1. In piedi o seduto, piega leggermente il busto verso destra
2. Posiziona la mano destra sopra le coste sinistre, vicino all’ascella
3. Inspira profondamente spingendo contro la mano
4. Mantieni per 3-5 secondi, poi espira lentamente
5. Ripeti 5-8 volte per lato

Stimola il dentato posteriore superiore e i muscoli inspiratori accessori, utile anche in pazienti con respiro corto o poco efficace.

Curiosità scientifica

Il dentato posteriore superiore è più ricco di fusi neuromuscolari rispetto ad altri muscoli della schiena, il che suggerisce una funzione propriocettiva importante, non solo meccanica! Potrebbe quindi aiutare il cervello a “sentire” meglio il movimento e la posizione del torace.

Conclusione

Il dentato posteriore superiore è un muscolo poco noto ma cruciale per il respiro, la postura e la percezione del dorso. Allungarlo e rinforzarlo è un ottimo modo per migliorare la mobilità toracica e alleggerire la tensione tra spalle e scapole.

Ci vediamo giovedì prossimo con un altro viaggio nella mappa muscolare di Muscolandia! 😁

Indirizzo

Via Edmondo Vicentini, 67
L'Aquila
67100

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