
19/06/2025
Zo mooi hoe we dit met BSR ook meenemen!!
NON È SOLO STRESS!
Benvenuti ad un nuovo episodio di “Commenta che ti passa.. dove i tuoi commenti trasformano i nostri post!”
Francesca è seduta al tavolo della cucina. È mattina presto. Davanti a lei, la tazza del caffè si è già raffreddata. Tiene una mano sulla spalla, appena sotto il collo. Ha lo sguardo basso. Si sfiora quella zona che da settimane le dà fastidio, come se volesse sciogliere qualcosa che non si lascia prendere.
“Non lo so. Ho fatto risonanza, RX, visite neurologiche. Tutti mi dicono che è solo stress. Ma io lo sento: qualcosa tira. Come un peso tra scapola e orecchio. E a volte mi gira anche un po’ la testa.”
Questa storia non è solo di Francesca. È di tante persone che sentono un dolore “che non si vede”. Che non lascia tracce chiare sugli esami, ma che incide sul modo in cui cammini, guidi, lavori, dormi. Una tensione sottile, ma sempre presente.
E allora iniziamo da qui. Non dai referti, ma da ciò che senti.
Prova a fare questo semplice test.
Siediti bene, con la schiena dritta.
Inspira. Ora gira lentamente la testa verso destra, poi abbassa il mento come se volessi annusare l’ascella destra.
Senti ti**re a sinistra? Una tensione che parte dal collo e scende verso la scapola?
Ora prova dall’altro lato.
Se senti un fastidio profondo, come un “filo teso” che non molla.. potresti aver appena incontrato l’elevatore della scapola.
Un muscolo di pochi centimetri. Che però può mandarti fuori asse. Letteralmente.
Si attacca alle prime vertebre cervicali (C1–C4) e si inserisce sulla scapola. Il suo lavoro è quello di sollevare e stabilizzare quella parte del corpo che chiamiamo “spalla”, ma che in realtà è molto di più: è parte di un intero sistema posturale.
L’elevatore della scapola non ama gli sforzi eccessivi. Ma ancor meno ama le tensioni croniche. Quelle emotive, quelle da scrivania, quelle da guida nel traffico, quelle da “sopportazione”.
Perché lui, come altri muscoli profondi del collo, si accende quando la mente si chiude. Si attiva quando trattieni il respiro. Quando serri la mandibola. Quando alzi le spalle.. senza nemmeno accorgertene.
Ecco perché spesso viene ignorato: perché è l’effetto di qualcosa di più grande. Ma proprio per questo, va ascoltato. Va trattato. Va rieducato.
Loredana lo ha capito dopo 18 mesi di dolore cervicale. Ha provato di tutto: fisioterapia, infiltrazioni, ozonoterapia. Ma il dolore tornava. Poi ha iniziato a respirare. A lavorare sul corpo con lentezza, consapevolezza, ascolto.
E il dolore ha cominciato a mollare.
Salvatore, invece, faceva l’OSS. Giorni interi a sollevare, girare, accompagnare pazienti.
“Mi fa male dietro la spalla, mi prende anche il deltoide e a volte mi punge sul pettorale. Possibile?” Sì. Possibile. Se chi dovrebbe sostenerti è sempre in trazione.
E poi c’è Rosa, che ha scoperto l’esistenza dei trigger point: nodi muscolari iperattivi, capaci di generare dolore irradiato anche in zone distanti. Non sono lesioni. Ma sanno essere debilitanti quanto un’ernia.
Il bello è che questi problemi non richiedono soluzioni complesse, ma un piano semplice e strutturato. Un approccio funzionale, non improvvisato. Personalizzato, non standard. Un lavoro su respiro, postura, carico e attenzione.
Se ti sei ritrovato in tutto questo, allora forse è il momento di fare qualcosa di diverso. Non qualcosa di complicato o straordinario. Ma qualcosa di essenziale.
Come ritrovare il gesto semplice di piegare il collo senza sentire un gancio tra scapola e testa. Come respirare senza che il torace si sollevi come una corazza ogni volta che l’aria entra. Come stare in piedi senza sentire di dover sempre “tenere tutto su”, anche quando non c’è nulla da reggere.
Francesca, la protagonista di questa storia, ha iniziato con poco. Si sedeva ogni mattina sul divano, appoggiava i piedi per terra, chiudeva gli occhi. Ruotava lentamente la testa, provava a inclinarsi, sentiva ti**re. Ma stavolta non si fermava al dolore. Ci entrava dentro. Lo ascoltava. E poi lo allungava. Un po’ per volta.
Come si fa con una corda che ha fatto il nodo.
Loredana, invece, teneva una pallina da tennis nello zaino. Ogni pausa al lavoro era buona per appoggiarsi al muro e fare qualche piccolo movimento, come per dire al suo corpo: “Lo so che ci sei. Ti sento. Ci lavoro”. Non erano manovre miracolose.
Erano atti di consapevolezza, ripetuti con costanza.
E poi c’era quel momento della sera. Quando si sdraiava. Le mani sull’addome, gli occhi chiusi, il cellulare spento. Provava a respirare non con il petto, ma con la pancia. Le prime volte era difficile. Era abituata a trattenere. Ma piano piano, con ogni espirazione, sentiva che qualcosa si abbassava. Non solo il diaframma. Anche la soglia di allerta.
Perché il corpo non vuole prestazioni. Vuole presenza. Vuole che qualcuno si fermi e gli dica: “Ok. Ho capito. Non sei rotto. Sei stanco. Ti rimetto in ascolto.”
E da lì, comincia il cambiamento vero.
Non con il miracolo, non con la bacchetta magica. Non con la manipolazione fine a se stessa. Ma con la rieducazione dolce e potente del gesto quotidiano. Il gesto di voltarti senza paura. Di stare seduto senza crollare. Di dormire senza svegliarti rigido.
È questo il trattamento che funziona.
Non quello che toglie il sintomo, ma quello che ti insegna a non farlo tornare.
E allora, se anche tu hai vissuto questo dolore invisibile, se hai sentito quella tensione che gli altri non vedono.. Forse è tempo di cambiare la domanda.
Non più: “Che cos’ho?”
Ma: “Cosa posso fare, oggi, per stare meglio?”
E magari, come Francesca, potrai scoprire che a volte, bastano piccoli gesti ripetuti per sciogliere un peso che sembrava impossibile da portare, per eliminare il dubbio di avere un male difficile da curare, quando in realtà si trattava solo di ascoltare meglio il tuo corpo.
La scienza ci conferma che il coinvolgimento dell’elevatore della scapola può mimare una patologia cervicale o addirittura una nevralgia. Può creare dolore retro-auricolare, occipitale, scapolare. Può alterare il tuo schema posturale.
Ma la clinica, più degli esami, a raccontarci la verità.
Ecco perché la fisioterapia non deve limitarsi a “rilassare il muscolo”. Deve riconfigurare il tuo modo di stare nel corpo. Ti insegna a non tornare più al punto di partenza.
Forse oggi non hai scoperto una nuova malattia. Ma hai riconosciuto un vecchio schema. E questo, credimi, è molto più importante.
Ti va di raccontare anche tu quel “filo teso” che nessuno vede ma tu senti ogni giorno? Quel peso strano, quel dolore che non appare da nessuna parte.. ma c’è?
Scrivilo nei commenti. Le vostre parole non sono solo testimonianze: sono il motore di questa rubrica. E magari, la tua storia sarà la prossima da cui partire.