04/05/2025
Freud ebbe due cani di razza chow chow. Jofi era il più famoso e partecipava regolarmente alle sedute. Il padre della psicoanalisi affermava che la cagnolina lo aiutava nella diagnosi di alcune persone. Più Jofi si sedeva lontano dal paziente, più quest’ultimo era ansioso.
“Jofi” in ebraico significa “bene, va bene” ed è stato scelto da Freud proprio perché i momenti che passava con lei erano i migliori della giornata, gli unici in cui poteva rilassarsi e svuotare la mente.
Un legame prezioso che lo studioso descrive in una lettera del 1936 a Marie Bonaparte, sua paziente ed allieva che gli regalò Jofi: “Le ragioni per cui si può in effetti voler bene con tanta singolare intensità a un animale come Jofi sono la simpatia aliena da qualsiasi ambivalenza, il senso di una vita semplice e libera dai conflitti difficilmente sopportabili con la civiltà, la bellezza di un’esistenza in sé compiuta. E, nonostante la diversità dello sviluppo organico, il sentimento di intima parentela, di un’incontestabile affinità."
Parole che descrivono la forza di questo legame che ha scandito le giornate dal 1930 al 1937. L’aiuto che Jofi era in grado di dare non si limitava solo alla comprensione dello stato d’animo dei pazienti. La sua presenza era fondamentale per la gestione degli appuntamenti: da perfetto orologio naturale, trascorsi gli usuali 50 minuti della seduta, il cane si alzava dalla sua postazione, si dirigeva alla porta dello studio e iniziava a fissare il paziente, invitandolo ad andarsene e togliendo quest'incombenza al padrone.
Sigmund Freud era legatissimo alla sua Jofi e, quando la cagnetta morì nel 1937, il vuoto che lasciò in lui fu enorme, tanto da prendere un altro cane, sempre di razza chow chow, a cui diede nome Lun e che portò con sé in esilio nel 1939 quando scappò dai nazisti.