Ilaria Traniello - Psicologa

Ilaria Traniello - Psicologa Psicologa Clinica. Orientamento Sistemico Relazionale. Consulenza e sostegno psicologico all'individuo, alla coppia e alla famiglia.

Ciao studietto,in questi giorni hai accolto saluti e separazioni, abbracci e lacrime, soddisfazioni e paure, felicità e ...
14/07/2025

Ciao studietto,

in questi giorni hai accolto saluti e separazioni, abbracci e lacrime, soddisfazioni e paure, felicità e tristezza, comprensione e rabbia, leggerezza e fatica, controllo e accoglienza, movimento e staticità.

Sono stati giorni pieni di emozioni, in un modo simile, eppur molto diverso dalla pausa per la mia prima maternità. Un modo di cui ho compreso evidentemente ed immediatamente delle cose e su certe altre sto ancora compiendo riflessioni. Di altre ancora, capirò solo con il tempo, voltandomi e guardando indietro alla me di adesso.

Ciao studietto,

ci ritroveremo tra qualche tempo per raccontarci come è andata e se abbiamo scoperto un altro pezzettino di noi.

In questi giorni comincio a sentire la stanchezza di questa gravidanza. Soprattutto avverto il fiato corto e il bisogno ...
10/06/2025

In questi giorni comincio a sentire la stanchezza di questa gravidanza. Soprattutto avverto il fiato corto e il bisogno crescente di fermarmi, respirare profondamente, cercare di allargare i polmoni che ormai sembrano compressi. Lo stomaco è schiacciato, spinto verso l’alto da un esserino che cresce dentro di me, che si fa spazio nel mio corpo, nel mio immaginario… e anche nei cassetti e negli armadi di casa, dove inizio a liberare angoli per lui, che presto arriverà ad abitarli.
E rifletto su quanto sia complesso, e al tempo stesso profondo, questo lavoro del “farsi spazio”. Dentro e fuori dal grembo.
Dentro, il piccolo deve fare i conti con un utero più o meno accogliente, con una mamma più o meno capace di ascoltarsi, di ascoltarlo, di fermarsi e riposare – se può, se riesce.
Fuori… fuori è un gran casino.
Perché questo processo del trovare spazio comincia subito, appena si arriva al mondo, e continua per tutta la vita.
Appena nasci, cerchi il tuo posto nella famiglia che ti accoglie. Uno spazio fisico, certo, ma soprattutto emotivo.
Sono il primo figlio? Il secondo? Quanti fratelli sono arrivati prima di me? In quale momento arrivo? Cosa stava succedendo nella vita di questa famiglia prima che arrivassi io? Mi stavano aspettando con trepidazione? E cosa comporterà questo per me? Oppure arrivo in una famiglia distratta, già affaticata da altro? E questo cosa significherà per il mio posto nel mondo?
Il farsi spazio non è un operazione semplice. Spesso ci ritagliamo angoli che a malapena contengono i nostri piedi. Spazi in cui non ci si può muovere, senza finestre, senza porte, senza protezioni dai venti che arrivano da fuori. Altre volte, la nostra storia ci porta a costruire isole: larghe abbastanza per sopravvivere con le nostre provviste, ma prive di porti, fari, connessioni. Nessun modo per far approdare l’altro, per inviare segnali nel momento del bisogno.
Dovremmo imparare a costruire ponti, a sventolare bandiere, a mandare segnali luminosi. Dovremmo poter aprire e chiudere finestre e porte, coltivare un giardino attorno a noi, e costruire una bella staccionata. Qualcosa che definisca il nostro spazio, senza isolarci del tutto.
[...]

LA TERAPIA È UNA SPIRALESettimane fa nella mia terapia personale portavo il senso di impotenza con cui a volte mi ritrov...
28/05/2025

LA TERAPIA È UNA SPIRALE

Settimane fa nella mia terapia personale portavo il senso di impotenza con cui a volte mi ritrovo a fare i conti nei percorsi con i miei pazienti che ciclicamente ritornano sempre agli stessi temi difficoltosi, alle stesse dinamiche relazionali, agli stessi pensieri, magari in maniera diversa, con dei piccoli o grandi pezzi di consapevolezza in più, con reazioni più o meno diverse, ma sempre lí, su quegli stessi punti dolorosi.

E io lamentavo un certo senso di frustrazione, perché nel nostro lavoro, il rischio di scivolare nel bisogno di voler salvare l'altro è dietro l'angolo, volergli "risolvere la vita", proteggerlo dalle sofferenze.

Ma non siamo formati a fare questo. Non è utile a nessuno.

Anzi, noi terapeuti dobbiamo saperci stare in quella sensazione di impotenza, perché i nostri pazienti possano imparare da noi.

La mia terapeuta di fronte al mio sentirmi sfiduciata, mi ha citato Bion.

Questo paragona la terapia ad una spirale, e lo descrive non come un percorso lineare che va da un punto A ad un punto B, ma piuttosto come un processo complesso ed interattivo.
È un viaggio che torna su stesso, a quei temi iniziali, ripercorrendo probabilmente le stesse strade, ma addettrandosi in maniera più profonda e più consapevole della volta precedente.

Ed è proprio così: lo è per me (e per il mio senso di impotenza) e lo è per le persone che accolgo nella stanza di terapia e per i loro nodi.

La terapia non è un percorso di guarigione definitiva, ma un processo dinamico, dove si torna spesso all'esperienza iniziale, con una prospettiva nuova ed un  maggiore livello di comprensione.

Quando nella relazione con il paziente, tiro fuori un aspetto di me, di cui tempo fa avrei avuto vergogna, quando mi acc...
28/10/2024

Quando nella relazione con il paziente, tiro fuori un aspetto di me, di cui tempo fa avrei avuto vergogna,

quando mi accorgo che i pazienti non possono fare quel pezzetto di strada, se non ho avuto il coraggio di farlo io per prima, 

quando i pazienti imparano, nella relazione terapeutica con me, che un altro modo possibile c'è, ed io con loro,

quando avvertono lo spazio della terapia come luogo sicuro, nonostante, nella loro storia la sicurezza sia stata sensazione rara,

e quando, anche io sento che in quella stanza niente è indicibile, ed anche l'indicibile può essere accolto, compreso, accettato ed integrato con quello che siamo, loro ed io,

quando vedo le persone di fronte a me crescere, imparare la vita ed imparare se stessi, nell'accezione di scoprire, andare incontro a chi sono davvero, loro ed inevitabilmente anche io,

ecco, in quei momenti, benedico il giorno in cui ho scelto di fare questo lavoro con gli altri e con me stessa. Benedico quel giorno, e tutti i successivi, in cui ho continuato e continuo a scegliere questo lavoro, come terapeuta e come paziente.

Siamo tutti molto esposti, ma in realtà non lo siamo nemmeno un po'.Forse proprio perche abbiamo la sensazione di essere...
01/10/2024

Siamo tutti molto esposti, ma in realtà non lo siamo nemmeno un po'.

Forse proprio perche abbiamo la sensazione di essere sovraesposti, scegliamo accuratamente e morbosamente di mostrare il nostro profilo migliore, i nostri successi, i momenti felici, la leggerezza, le nostre passioni, le nostre vacanze.

E va benissimo.

Ma tutto il resto dov'è? Le giornate storte? Le fatiche? I fallimenti? La tristezza? Quello che non ci piace e che non va come vorremmo? La quotidianità? La banalità delle nostre giornate?

Esiste anche quella.
Ma non si vede. Non la mostriamo. Non la raccontiamo. Né sui social, né dal vivo.

E così facendo creiamo un grandissimo fraintendimento che ci porta a pensare che l'altro sia più in gamba, più felice, più organizzato, sempre sul pezzo, mai fermo, mai triste, mai addolorato, mai affaticato, straordinario.

Vediamo l'altro sempre meglio di quello che è realmente e sempre meglio di quello che l'altro vede di se stesso.

E tutto questo produce un cortocircuito dentro il quale siamo spinti a fare sempre di più, a competere con l'altro, in una gara che non esiste, ma, che in questo paradosso e di questo paradosso si nutre e si alimenta.

"E comincio a piangere perché non riesco a non provare un amore immenso e tremendo per mia madre. Che razza di amore è q...
26/09/2024

"E comincio a piangere perché non riesco a non provare un amore immenso e tremendo per mia madre. Che razza di amore è quello insopprimibile per una pazza che mi ha forgiato e resa uguale a lei? Io che a mia volta abbandono mio figlio, che diventa un barbone."

"Non è vero che non ho mai amato Giuseppe. Non è per  niente vero. L'ho abbandonato perché non faceva che amarmi con tutto se stesso. Non mi bastava, avevo bisogno di fendenti e di strappi. Così mi avevano insegnato: amare è bere veleno."

Non ci sono molte altre parole da aggiungere a questa scrittura che ti prende a schiaffi ed a pugni, belli dritti nello stomaco, e fa male. Solo sul finale, tra le ultime righe, ho trovato un po' di pace e tenerezza.

La verità è quella che ci racconta Maria. Ci portiamo dietro, dentro e dopo di noi, un'eredità che in qualche modo è condannata a ripetersi. In certi momenti ci sembra non ci sia scampo, è molto doloroso. Ma c'è una luce, quella che ci spinge a recuperare i pezzi della nostra storia, tornare a chiedere perché le cose sono andate in un certo modo, perdonare e perdonarsi di quello che è stato, ricongiungere quello che si è strappato e poter riscrivere "mettendo in fila le parole e poi scombinarle e creare nuovi significati".

Che potenza che ha la scrittura! Per Maria è stata salvezza e tormento, ma le ha permesso di "sfilare quella sofferenza dalla sua sorte, facendola diventare vita".


10/09/2024

📆 Martedì 10 settembre alle 20.45 vi aspettiamo per l’evento “𝗜𝗹 𝗽𝗼𝘁𝗲𝗿𝗲 𝗱𝗲𝗹𝗹𝗮 𝗰𝘂𝗿𝗮: 𝗱𝗮𝗹𝗹𝗮 𝗳𝗲𝗿𝗶𝘁𝗮 𝗮𝗹𝗹’𝗲𝗾𝘂𝗶𝗹𝗶𝗯𝗿𝗶𝗼” 𝗽𝗿𝗲𝘀𝘀𝗼 𝗹𝗮 𝗖𝗮𝘀𝗮 𝗱𝗲𝗹𝗹𝗮 𝗣𝘀𝗶𝗰𝗼𝗹𝗼𝗴𝗶𝗮 𝗕𝗿𝗲𝘀𝗰𝗶𝗮 - 𝗖𝗮𝘀𝗰𝗶𝗻𝗮 𝗣𝗮𝗿𝗰𝗼 𝗚𝗮𝗹𝗹𝗼 𝗩𝗶𝗮 𝗖𝗼𝗿𝗳𝘂̀, 𝟭𝟬𝟬 - 𝗕𝗿𝗲𝘀𝗰𝗶𝗮.

🔎 Nella serata parleremo di come un certo tipo di fotografia, incentrata sulla cura, possa incontrare sia la dimensione psicologica che fisica dell’uomo, e di come anche il corpo entra in gioco in questa rappresentazione del dolore. Verrà dato spazio quindi al tema della sofferenza, psicologica e fisica, distinguendo tra un innato sentimento ed un complesso di inferiorità dell’uomo, e considerato come un unicum corpo-mente.

🗣️ Parteciperanno 𝗣𝗶𝗲𝘁𝗿𝗼 𝗔𝗿𝗿𝗶𝗴𝗼𝗻𝗶, 𝗖𝗹𝗮𝘂𝗱𝗶𝗼 𝗚𝗵𝗶𝗱𝗼𝗻𝗶, 𝗙𝗿𝗮𝗻𝗰𝗲𝘀𝗰𝗼 𝗕𝗼𝗰𝗰𝗶, 𝗗𝗮𝘃𝗶𝗱𝗲 𝗕𝗮𝘃𝗲𝗻𝘁𝗼𝗿𝗲.

👉Clicca qui per saperne di più sull’evento: https://shorturl.at/AABhG

Mi ha fatto compagnia in questa mia estate di montagne russe fattuali ed emotive. L'ho amato tanto, stropicciato, sottol...
03/09/2024

Mi ha fatto compagnia in questa mia estate di montagne russe fattuali ed emotive. L'ho amato tanto, stropicciato, sottolineato infinite volte, riempito di orecchie. Ho trovato tra le sue righe vissuti che risuonano con dei pezzetti di me e parole che appartengono a tante storie che ho ascoltato. Ho smesso di leggerlo per qualche giorno perché avevo bisogno di prendermi una pausa da una storia cruda e struggente, per poi riprendere, dopo poco, perché mi era necessario scoprire dove Lucia avrebbe portato Mariagrazia e dove Mariagrazia avrebbe portato Lucia. E spinta da questa necessità ho attraversato queste pagine che raccontano di un legame tra una mamma ed una figlia, che inizia con una necessaria separazione, con un abbandono, con la morte. Eppure è una storia che parla di vita, di libertà, di possibile, di cura, di amore incondizionato. Si riesce a scorgere tutto questo solo se ci spoglia del pregiudizio e si prova a comprendere l'essenziale.

"Conta solo che sei venuta a prendermi. E adesso io prendo te e ti lascio libera, pure di abbandonarmi."

Questo romanzo è necessario.

Come è necessaria la separazione affinchè ci sia vita.

"Il primo e più lungo dolore è separarsi.
Perlomeno è un dolore condiviso. Nascere è un dolore condiviso. Separarsi è il dolore simultaneo ed indispensabile, della matrice che espelle e dell'individuo che viene espulso per entrare attivamente nella sua durata. Scindersi dalla propria matrice diretta e poi vivere, soli come non siamo ancora stati."






L. si dice convinta a chiudere una conoscenza da poco iniziata perché qualcosa le ha dato fastidio nel comportamento di ...
24/07/2024

L. si dice convinta a chiudere una conoscenza da poco iniziata perché qualcosa le ha dato fastidio nel comportamento di lui, ma non lo esplicita, vorrebbe solo non sentirlo più, anche se le piace.
A. prova nuovamente le farfalle nello stomaco dopo tanto tempo, forse non è nemmeno mai successo prima d'ora. Si emoziona quando parla di lei eppure in lui finiscono per annodarsi tutta una serie di percezioni di inadeguatezza, che fisicamente si trasformano in un muro, che non permette a lei di entrare.
M. si trova insieme al suo partner in un momento che potrebbe essere evolutivo della loro storia di coppia. E' in preda ad una forte angoscia, al rimuginio ed al dubbio che la tengono ferma, bloccata in una verifica costante dei suoi sentimenti.

Persone diverse con storie differenti, eppure accomunate da un unico filo rosso, la paura di amare.

Cosa succederebbe se L. esprimesse le sue paure a quel ragazzo? E se A. lasciasse che le cose accadano? E se M. si desse la possibilità di sentire cosa prova e non di (iper)pensare i suoi sentimenti?

Succederebbe quello che in realtà è auspicabile succeda in una relazione d'amore.
Succederebbe di sentirsi vulnerabili, di sentirsi spogliati di fronte all'altro.
Succederebbe di consegnare all'altro e di affidargli la nostra parte f***e.
Citando Galimberti, è proprio attraverso l'incontro con l'altro, che possiamo entrare a guardare dentro la nostra follia ed uscirne fuori, cambiati, colorati da una nuova parte di noi, che altrimenti sarebbe rimasta nascosta, perché troppo distruttiva per essere accolta da due sole braccia.

Succederebbe allora che L. possa gettare la maschera di donna dura ed indipendente ed accedere alla parte di sé che teme di essere abbandonata.
Succederebbe che A. possa provare compassione per quella sensazione di inadeguatezza affettiva e sessuale, invece di combatterla imponendosi il controllo e la perfezione.
Succederebbe che M. liberi "la brava bambina" e sveli la sua parte più istintiva, passionale, capace di amare, ma anche di ferire.

La paura di amare allora non risiede nella paura dell'altro, ma nel timore di riconoscere la nostra parte più f***e, più vitale.

Qualche giorno fa in stanza di terapia, è stata una giornata densa, dove la sofferenza si tagliava a fette e la scatola ...
18/04/2024

Qualche giorno fa in stanza di terapia, è stata una giornata densa, dove la sofferenza si tagliava a fette e la scatola di clinex non aveva tregua, perché le lacrime scendevano copiose, o restavano annodate alla gola, gli occhi pulsavano e la voce tratteneva il pianto.

È stata una giornata di quelle in cui io non posso far altro che stare in quel dolore insieme alle persone che ho di fronte, poche parole, lo stretto necessario. E scendere a patti con il mio bisogno umano di intervenire, l'urgenza di risolvere, di sollevare l'altro ed accettare che in alcuni momenti e di fronte ad alcuni avvenimenti della vita può essere solo così.

Ma in quella giornata c'è stato qualcosa che è arrivato come un raggio di sole dopo una tempesta e ha rischiarato il cielo.

Una persona, probabilmente in una delle sedute più difficili del suo percorso, ad un certo punto si ferma e mi dice: "Nonostante tutto il dolore, non vorrei non aver vissuto alcuni accadimenti della mia vita, perché è anche grazie a questi, che oggi sono quellə che sono."

Queste parole hanno fatto spazio tra le nuvole, hanno aperto l'orizzonte, lo stesso, che tempo fa non si riusciva a guardare. Era lontano, annebbiato e ci si chiedeva se avesse senso anche provare ad immaginarlo.

È proprio dentro queste parole che ritroviamo il senso del dolore, della terapia e della vita.

In questi giorni trascorsi a casa per l'influenza, la mia bimba mi ha chiesto spesso di leggerle questo libro illustrato...
12/03/2024

In questi giorni trascorsi a casa per l'influenza, la mia bimba mi ha chiesto spesso di leggerle questo libro illustrato.

Il titolo potrebbe suscitare subito un sentimento di repulsione. Urlo e mamma sono due parole che forse non vorremmo vedere abbinate, che insieme non ci piacciono.

Ma, a meno che non siamo le mamme della Mulino Bianco o delle Mamme Instagrammabili, capita di urlare, di perdere la pazienza, di utilizzare le parole o i toni sbagliati.

La storia racconta di una mamma pinguina, che, un giorno, si arrabbia ed urla forte contro il suo piccolino, talmente forte che il pinguinino va in mille pezzi. La mamma compie un lungo viaggio per rimettere insieme e ricucire i pezzi del suo figlioletto e si scusa per aver urlato troppo forte.

A mia figlia piace tanto questo libro, perché si diverte a vedere dove finiscono i pezzi del pinguino: sulle montagne, in città, nel cielo, e come la mamma li ricuce con ago e filo.

Per me questa storia è una carezza sul cuore, è un abbraccio, è conforto.

Essere genitori è il più difficile dei mestieri e si fanno inevitabilmente degli errori, anche quando si pensa di fare il bene dei propri figli.
Ed inevitabilmente succede di ferirli, anche profondamente.

Questo racconto mi ha fatto pensare a quel che avviene in terapia, quando ho di fronte una famiglia, o quando chiedo anche ai miei pazienti adulti di invitare i genitori in seduta.

Spesso mi sento dire: "E' andata così, il passato non lo possiamo cambiare". Giusto, non abbiamo una bacchetta magica. Ma possiamo riparare, rimettere insieme i pezzi, chiedere scusa per quel che è accaduto, ricucire quelle ferite. È possibile. E non solo, è anche utile.

Se noi genitori siamo in grado di offrire questa possibilità, i nostri figli impareranno che nella vita, ci si spezza, ci si rompe, si va in frantumi, ma non è tutto perso. Con il tempo e la cura ci si raggiusta.

Ai cuori forti ❤️
30/12/2023

Ai cuori forti ❤️

Indirizzo

Brescia

Notifiche

Lasciando la tua email puoi essere il primo a sapere quando Ilaria Traniello - Psicologa pubblica notizie e promozioni. Il tuo indirizzo email non verrà utilizzato per nessun altro scopo e potrai annullare l'iscrizione in qualsiasi momento.

Contatta Lo Studio

Invia un messaggio a Ilaria Traniello - Psicologa:

Condividi