Anna Bartolini Medico Chirurgo Specialista in Oftalmologia

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Anna Bartolini Medico Chirurgo Specialista in Oftalmologia Azienda Ospedaliera Santa Maria di Terni
Attività libero professionale intra-muraria allargata
0744
(4)

30/08/2022

“L’occhio è lo strumento attraverso il quale percepiamo la maggior parte delle informazioni dal mondo esterno: oltre il 70 per cento. Una buona vista è un fattore importante per una vita sana e gratificante. A partire dalla scuola”.

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DEGENERAZIONE MACULARE LEGATA ALL’ETÀ E ADATTAMENTO AL BUIOL’adattamento al buio è la capacità degli occhi di vedere in ...
30/08/2022

DEGENERAZIONE MACULARE LEGATA ALL’ETÀ E ADATTAMENTO AL BUIO

L’adattamento al buio è la capacità degli occhi di vedere in condizioni di scarsa illuminazione o di oscurità, dopo l’esposizione a una luce intensa. Si tratta di un processo naturale che, però, offre anche l’opportunità di comprendere il funzionamento della retina e di valutare l’eventuale presenza di patologie retiniche. Infatti, il modo in cui i nostri occhi si adattano all’oscurità rappresenta un indicatore chiave della salute della retina, che può essere alterata in presenza di alcune malattie, come la degenerazione maculare legata all’età (DMLE).

Il processo di adattamento al buio

La capacità di adattarsi a una vasta gamma di intensità luminose è una delle proprietà fondamentali del sistema visivo umano e permette agli occhi di affrontare sia piccoli che grandi aumenti di luce, così come la sua diminuzione, repentina o graduale.
La nostra risposta visiva alla luce dipende da molti fattori, tra cui l’entità e la velocità del cambiamento nell’illuminazione, nonché l’intensità della luce ambientale presente prima del cambiamento.
Una delle risposte evidenti e osservabili al cambiamento di illuminazione è la variazione nella dilatazione della pupilla. Infatti, il diametro della pupilla aumenta al diminuire dell’illuminazione e, in particolare, è possibile un aumento del suo diametro fino a circa quattro volte nel caso ci si trovi in condizioni di scarsissima luminosità. Al contrario, la pupilla si restringe in presenza di una luce forte. Sia la dilatazione pupillare che la contrazione avvengono in modo relativamente rapido, tipicamente dell’ordine di pochi secondi.
Oltre alla dilatazione della pupilla, un’altra risposta di fondo è quella del nostro sistema visivo: la sensibilità del sistema visivo aumenta man mano che aumenta il tempo trascorso al buio e una sensibilità maggiore significa capacità di vedere a livelli di illuminazione inferiori. Tuttavia, rispetto alla dilatazione della pupilla, il cambiamento della sensibilità visiva avviene in modo molto più graduale, tipicamente dell’ordine di molti minuti. In effetti, tutti abbiamo provato, almeno una volta, la sensazione di abituarci a vedere al buio man mano che il tempo passa.
Il processo di adattamento al buio coinvolge anche la cosiddetta “fototrasduzione”, che avviene principalmente tra i fotorecettori, cioè le cellule adibite a captare la luce, e lo strato epiteliale della retina. In particolare, l’adattamento al buio è modulato da fotorecettori di due tipi, i coni e i bastoncelli.
I coni si attivano quando l’ambiente è più luminoso e si parla di visione fotopica. Sono meno sensibili dei bastoncelli, ma più veloci nella loro risposta ai cambiamenti nei livelli di luce. I bastoncelli, invece, si attivano quando c’è meno luce e, in questo caso, si parla di visione scotopica.
Il processo di fototrasduzione ha come risultato finale la conversione degli stimoli luminosi in segnali visivi, che si verifica nella retina.

Adattamento al buio e degenerazione maculare legata all’età

Visto che la retina ha un ruolo così importante nell’adattamento al buio, i cambiamenti patologici in uno degli strati cellulari che la compongono hanno il potenziale per influenzare l’adattamento al buio. Ad esempio, alcune malattie genetiche che coinvolgono la retina, come la retinite pigmentosa o la degenerazione retinica a esordio tardivo, causano ritardo nell’adattamento al buio.
Anche la degenerazione maculare legata all’età (DMLE), una malattia complessa che presenta alterazioni patologiche in più strati cellulari della retina, tra cui la porzione detta macula, è una patologia le cui cause a livello cellulare possono essere indagate con un attento studio dell’adattamento al buio.
In effetti, molti studi hanno mostrato un aumento del tempo impiegato dai bastoncelli dei pazienti affetti da DMLE nel rispondere ai cambiamenti nell’illuminazione. Questo ritardo nell’adattamento al buio mediato dai bastoncelli nella DMLE ha dimostrato di avere una gravità che cresce di pari passo con la malattia.
Poiché la DMLE è tra le principali cause di cecità nei paesi industrializzati e non è ancora disponibile una terapia stabilmente efficace, ad oggi, essa rimane una delle sfide principali per gli scienziati.
In questo contesto, lo studio dell’adattamento al buio, essendo una misura che rispecchia i cambiamenti strutturali dei tessuti chiave nella patogenesi della DMLE, già in stadi di malattia molto precoci, rappresenta un valore interessante da indagare da parte dei clinici.
Per questo, la strumentazione per testare l’adattamento al buio ha visto un enorme sviluppo negli ultimi anni e, ad oggi, diversi protocolli disponibili per lo screening della DMLE e il monitoraggio della progressione della malattia utilizzano proprio l’adattamento al buio come parametro importante nella valutazione clinica di questa maculopatia.

Bibliografia
Nigalye AK, Hess K, Pundlik SJ, Jeffrey BG, Cukras CA, Husain D. Dark Adaptation and Its Role in Age-Related Macular Degeneration. J Clin Med. 2022 Mar 1;11(5):1358. doi: 10.3390/jcm11051358.

PROGRESSI NEI TEST DIAGNOSTICI PER LA SINDROME DELL’OCCHIO SECCOL’esame della superficie oculare è molto importante per ...
21/07/2022

PROGRESSI NEI TEST DIAGNOSTICI PER LA SINDROME DELL’OCCHIO SECCO

L’esame della superficie oculare è molto importante per la diagnosi e il trattamento della sindrome dell’occhio secco. Si tratta di una malattia multifattoriale, definita come la perdita di omeostasi del film lacrimale, accompagnata da sintomi di discomfort e infiammazione oculare, la cui prevalenza globale è del 5-50%, e che pone ancora diverse sfide diagnostiche e terapeutiche.
Grazie ai recenti progressi della scienza e della tecnologia, i test diagnostici per le patologie oculari sono progrediti rapidamente, il che ha permesso di migliorare notevolmente anche l’approccio clinico alla sindrome dell’occhio secco. Ciononostante, può essere difficoltoso, per lo specialista, scegliere l’esame più adatto, garantirne la ripetibilità e interpretare accuratamente i risultati.
In proposito, una recente review ha analizzato gli ultimi progressi nei test diagnostici per l’esame della sindrome dell’occhio secco.

Analisi delle lacrime
Le lacrime giocano un ruolo importante nel mantenimento della stabilità del microambiente della superficie oculare. Cambiamenti nella qualità o quantità delle lacrime possono indurre la secchezza oculare e giocare un ruolo importante nella terapia della sindrome dell’occhio secco. Per questo, l’esame delle lacrime è un indicatore molto importante per la diagnosi di questa condizione.
* Test di Schirmer: utilizzato come test diagnostico per la sindrome dell’occhio secco fin dal 1903, si basa sulla tendenza fisica di un fluido a migrare lungo una striscia di materiale poroso per capillarità, dovuta alla tensione superficiale. Si tratta di un test semplice da eseguire, ma con una bassa affidabilità.
* Valutazione dell’altezza del menisco lacrimale: è stato confermato che la valutazione del menisco lacrimale ha una buona affidabilità e accuratezza. Inoltre, sono stati introdotti metodi diagnostici non invasivi, che utilizzano la tomografia a coerenza ottica (OCT), vantaggiosi per il paziente e affidabili sul piano del risultato.
* Meniscometria a strip: prevede l’uso di una striscia sottile con un assorbitore capillare al centro e due colonne di scala su entrambi i lati, per misurare il volume del menisco lacrimale. Ha dimostrato una buona affidabilità e risultati coerenti con il test di Schirmer e la valutazione dell’altezza del menisco lacrimale.
* Ferning Test (o test di felcizzazione): è un semplice metodo che permette di valutare alcune caratteristiche biochimiche degli strati del film lacrimale, in modo rapido ed economico.
* Misurazione della pressione osmotica delle lacrime: la pressione osmotica lacrimale indica l’equilibrio tra secrezione lacrimale, evaporazione, assorbimento e drenaggio. Il test di osmolarità lacrimale è considerato uno dei metodi più accurati per la diagnosi della sindrome dell’occhio secco. Ad oggi, le tecniche per misurare la pressione osmotica lacrimale prevedono l’uso di dispositivi affidabili ed efficaci.
* Misurazione dei biomarcatori infiammatori: sono disponibili due test che misurano, rispettivamente, le metalloproteasi e la lattoferrina. Infatti, ci sono forti evidenze che l’infiammazione costituisca un importante pilastro nella fisiopatologia della sindrome dell’occhio secco.

Analisi del film lacrimale
Lo strato più superficiale del film lacrimale è lo strato lipidico, secreto dalle ghiandole di Meibomio. Quando questo strato è carente, può insorgere la sindrome dell’occhio secco evaporativa.
* Tempo di rottura: il tempo di rottura del film lacrimale è uno dei metodi di diagnosi della sindrome dell’occhio secco più usato negli ultimi due decenni. Esso è tradizionalmente definito come “l’intervallo tra gli ultimi battiti di ciglia completi e la prima comparsa di un punto secco o di un’interruzione nel film lacrimale”. Ad oggi, sono disponibili metodi invasivi e non invasivi per la misurazione del tempo di rottura del film lacrimale.
* Misurazione dello spessore del film lacrimale: sono disponibili varie tecnologie e nuovi dispositivi per la valutazione dello spessore del film lacrimale

Esame del margine palpebrale e delle Ghiandole di Meibomio
La disfunzione della ghiandola di Meibomio (MGD) è tra le cause principali della sindrome dell’occhio secco (86%). La morfologia e la funzione della ghiandola di Meibomio vengono esaminate di routine per diagnosticare la MGD, attraverso la meibografia. Valutare i cambiamenti nelle palpebre, nei margini palpebrali e nelle ghiandole di Meibomio è fondamentale nella diagnosi di MGD. Questi cambiamenti possono essere valutati osservando lo stato di apertura delle ghiandole di Meibomio, comprimendo le ghiandole sulla pelle delle palpebre e osservando le difficoltà nell’escrezione lacrimale. Inoltre, possono essere utilizzate diverse modalità di imaging, inclusa la meibografia a contatto, la meibografia a infrarossi senza contatto, la cheratografia, la microscopia confocale in vivo e la meibografia OCT.

Colorazione della superficie oculare
La colorazione delle cellule della superficie oculare permette di valutare la funzione di barriera e l’integrità delle cellule epiteliali, come uno degli indici di valutazione della gravità della sindrome dell’occhio secco. Infatti, quando l’integrità delle cellule della superficie oculare è alterata, queste possono essere evidenziate utilizzando coloranti specifici. Il grado e l’area di colorazione sono correlati alla gravità del danno. La colorazione può, quindi, essere utilizzata per valutare la funzione di barriera e l’integrità delle cellule epiteliali. La colorazione con fluoresceina sodica è quella più comunemente usata nella pratica clinica, sebbene possano essere utilizzate anche la colorazione con verde di lissamina e quella con rosa bengala.

Dry eye Analyzer
Si tratta di un dispositivo innovativo che integra una grande varietà di test diagnostici per la sindrome dell’occhio secco. Questo analizzatore può fornire efficientemente analisi che includono la misurazione dell’altezza del film lacrimale, del tempo di rottura, dello spessore del film lacrimale, delle ghiandole di Meibomio e dell’iperemia congiuntivale.

Microscopio confocale
La microscopia confocale è una nuova tecnologia che può aiutare nella valutazione in vivo dei cambiamenti strutturali in diverse malattie della superficie oculare. L’applicazione della microscopia confocale in vivo (IVCM) nella sindrome dell’occhio secco diventerà, in futuro, un metodo fondamentale per valutare i cambiamenti morfologici della superficie oculare. L’IVCM è già stato applicato nell’esame della cornea, della congiuntiva, delle ghiandole di Meibomio e delle ghiandole lacrimali.

Bibliografia
Wu Y, Wang C, Wang X, Mou Y, Yuan K, Huang X, Jin X. Advances in Dry Eye Disease Examination Techniques. Front Med (Lausanne). 2022 Jan 25;8:826530. doi: 10.3389/fmed.2021.826530. PMID: 35145982; PMCID: PMC8823697.

CATARATTA: FLORA BATTERICA OCULARE E SUSCETTIBILITÀ AGLI ANTIBIOTICISebbene la chirurgia della cataratta sia considerata...
21/07/2022

CATARATTA: FLORA BATTERICA OCULARE E SUSCETTIBILITÀ AGLI ANTIBIOTICI

Sebbene la chirurgia della cataratta sia considerata una procedura sicura, l’endoftalmite rimane una complicanza rara, ma potenzialmente grave. I batteri che causano l’endoftalmite postoperatoria possono avere origine dalla normale flora batterica della congiuntiva e della palpebra. Al momento, tuttavia, non esiste un consenso globale sulla profilassi dell’endoftalmite. La preparazione della superficie oculare con iodio-povidone topico è diventata uno standard della procedura chirurgica, sia in Europa che negli Stati Uniti. Ciò nonostante, lo iodio povidone non fornisce una sterilizzazione completa della superficie oculare e, quindi, vengono generalmente utilizzate alcune strategie profilattiche aggiuntive per ridurre il rischio di endoftalmite.
Un recente sondaggio dell’European Observatory of Cataract Surgery ha rivelato che vengono usati antibiotici topici nel 42% degli interventi di cataratta prima che i pazienti arrivino in sala operatoria e nell’87% dei pazienti nel decorso post operatorio. Risultati simili sono stati riportati in un sondaggio online condotto dall’American Society of Cataract and Refractive Surgery.
In relazione a queste strategie profilattiche è fondamentale, tuttavia, prendere in considerazione anche il problema dell’antibiotico resistenza. Infatti, poiché la flora batterica e la suscettibilità agli antibiotici variano geograficamente e nel tempo, è necessaria una periodica sorveglianza locale per prevedere eventuali fenomeni di resistenza agli antibatterici.
Dato che, come detto, la flora oculare di un paziente può essere la fonte di batteri responsabili della maggior parte dei casi di infezioni intraoculari, ridurre la carica batterica sulla superficie oculare o eradicare i microrganismi che possono raggiungere l’occhio è la strategia migliore per ridurre il rischio di endoftalmite post-operatoria.
Caratterizzazione della flora oculare nei pazienti sottoposti a chirurgia della cataratta
Uno studio, condotto in Italia, ha avuto come obiettivo quello di caratterizzare la flora oculare in un gruppo di pazienti sottoposti a chirurgia della cataratta e determinarne il profilo di suscettibilità a diversi antibiotici oftalmici.
Lo studio comprendeva 120 pazienti (49 uomini e 71 donne) e le colture sono risultate positive nel 72,5% dei casi. La maggior parte dei pazienti (47,1%) era positiva sia per la congiuntiva che per il margine palpebrale; il 16,1% è risultato positivo solo per la congiuntiva e il 36,8% solo per il margine palpebrale. Pertanto, il coinvolgimento della palpebra è stato osservato nell’83,9% dei pazienti. Questi risultati sono coerenti con quelli riportati da studi precedenti, che mostravano un range di positività colturale dal 67% all’85%, con un coinvolgimento fondamentale del margine palpebrale.
Inoltre, come già osservato in studi precedenti, la maggior parte degli isolati identificati nello studio (70%) erano Staphylococcus epidermidis e Staphylococcus aureus, microrganismi implicati in circa l’80% dei casi di endoftalmite postoperatoria. Gli S. epidermitis resistenti alla meticillina (MRSE) rappresentavano il 47% degli isolati di S epidermidis e gli MRSA (S. aureus resistenti alla meticillina) dal 30% al 64% degli isolati totali di S. aureus.
Antibiotici e cataratta: l’efficacia della netilmicina

I batteri isolati sono poi stati classificati come suscettibili, intermedi o resistenti ad un’ampia gamma di antibiotici.
Escludendo gli antibiotici non disponibili per uso topico, gli isolati sono risultati altamente suscettibili alla sola netilmicina, mentre hanno mostrato alti livelli di resistenza ad azitromicina, ofloxacina e tobramicina. Circa il 30% degli isolati erano resistenti ad almeno 3 classi di antibiotici (ad es. fluorochinoloni, cloramfenicolo e macrolidi) e pertanto sono stati classificati come multiresistenti.
MRSA e MRSE sono altamente suscettibili alla netilmicina. Anche il cloramfenicolo e la tobramicina hanno mostrato una buona efficacia, mentre la maggior parte dei ceppi resistenti alla meticillina non era suscettibile ai fluorochinoloni. Questa specifica attività antimicrobica è clinicamente rilevante perché MRSA e MRSE hanno meno probabilità di essere eradicati con regimi di profilassi topica e potrebbero indurre facilmente infezioni.
In conclusione, tra gli antibatterici disponibili per uso topico, la netilmicina è risultato essere l’unico farmaco con un tasso di suscettibilità complessiva superiore al 90%. Infatti, una somministrazione topica di 2 giorni con netilmicina, nei pazienti con coltura positiva, è stata in grado di eradicare i microrganismi nel 94% dei casi.
I risultati dello studio indicano, quindi, che la netilmicina potrebbe essere considerata un antibiotico di prima scelta in ambito preoperatorio, a causa del suo ampio spettro di attività che copre anche ceppi multiresistenti, inclusi MRSA e MRSE.
La netilmicina è efficace anche contro i ceppi resistenti agli aminoglicosidi a causa della sua resistenza alla maggior parte degli enzimi in grado di inattivarli.

Bibliografia
Papa V, Blanco AR, Santocono M. Ocular flora and their antibiotic susceptibility in patients having cataract surgery in Italy. J Cataract Refract Surg. 2016 Sep;42(9):1312-1317. doi: 10.1016/j.jcrs.2016.07.022.

L’11 aprile si celebra nel mondo la giornata dedicata alla sindrome di Parkinson, un’occasione per suggerire alle person...
11/04/2022

L’11 aprile si celebra nel mondo la giornata dedicata alla sindrome di Parkinson, un’occasione per suggerire alle persone che ne sono affette come gestire al meglio i disturbi visivi causati dalla malattia.
Fenomeni tipici del Parkinson, come la minore frequenza del battito palpebrale, i movimenti oculari rallentati e alterati, con episodi transitori di visione doppia, ostacolano considerevolmente numerose attività quotidiane.

Come è possibile vivere meglio, riducendo i fastidi?

OCCHIO SECCO
- Utilizzare regolarmente lacrime artificiali, senza conservanti, contenti sostanze riepitelizzanti
- Sforzarsi di ammiccare più frequentemente possibile

VISIONE DOPPIA
- Se occasionale: ba***re le palpebre; volgere lo sguardo e rimettere a fuoco
- Se persistente: ricorrere alle lenti prismatiche, su prescrizione dell’oculista

DIFFICOLTÁ NELLA LETTURA
-Utilizzare una lampada a LED o a luce fredda, che illumini il testo in maniera ottimale, eventualmente anche in presenza di luce naturale.
- Usare un occhiale da lettura adattato alla propria distanza di lettura personale.

ALLUCINAZIONI
- Non allarmarsi, perché possono essere un effetto secondario della terapia dopaminergica.
- Far modulare dal medico di famiglia o dal neurologo la dose del farmaco antiparkinsoniano.

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Il 21 marzo, primo giorno di primavera, si celebra in tutto il mondo la giornata dedicata alla Sindrome di Down e il tem...
21/03/2022

Il 21 marzo, primo giorno di primavera, si celebra in tutto il mondo la giornata dedicata alla Sindrome di Down e il tema di quest’anno sarà "l’inclusione". La Convenzione delle Nazioni Unite sui Diritti delle persone disabili sancisce, infatti, il diritto ad una “piena ed effettiva partecipazione ed inclusione nella società” delle persone Down e di tutte le persone con disabilità.

È importante ricordare che gli occhi dei bambini affetti da sindrome di Down (o trisomia 21) richiedono controlli particolarmente accurati, poiché la malattia può avere importanti effetti sullo sviluppo oculare in generale e, in particolare, sulla morfologia della cornea. Tra i rischi più seri c’è l’insorgenza del cheratocono, una patologia degenerativa a carattere progressivo, caratterizzata dallo sfiancamento del tessuto corneale, che si assottiglia e si estroflette all'apice assumendo la tipica forma a cono.
Altri disturbi oculari frequenti sono: il nistagmo, lo strabismo, la cataratta e i vizi refrattivi
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IL RUOLO DELL’ALIMENTAZIONE E DEGLI INTEGRATORI ALIMENTARI NELLE MALATTIE DELLA SUPERFICIE OCULAREUn grande numero di st...
12/03/2022

IL RUOLO DELL’ALIMENTAZIONE E DEGLI INTEGRATORI ALIMENTARI NELLE MALATTIE DELLA SUPERFICIE OCULARE

Un grande numero di studi, sia in vitro che in vivo, ha dimostrato l’effetto benefico di alcuni componenti dietetici (che possono essere assunti con l’alimentazione o tramite integratori) sulla salute della superficie oculare. Sono molte, infatti, le prove a sostegno del possibile ruolo di diversi micronutrienti e prodotti nutraceutici nel trattamento delle malattie della superficie oculare.

Superficie oculare e sindrome dell’occhio secco

La superficie oculare è un sistema in delicato equilibrio, formato da varie componenti, collegate tra loro sia dal punto di vista strutturale che funzionale. Essa rappresenta una connessione diretta tra l’occhio e l’ambiente esterno e, per questo, tutti i suoi componenti agiscono in modo sinergico per mantenere l’occhio sano e proteggere le strutture chiave della vista dai patogeni esterni. Entrambi questi obiettivi sono raggiunti, tra l’altro, grazie alla produzione di un efficiente film lacrimale. Qualsiasi fattore che perturbi l’omeostasi del sistema della superficie oculare può alterare la stabilità e l’osmolarità delle lacrime, portando a danni ai tessuti attraverso processi osmotici, meccanici e infiammatori.

Una delle condizioni in cui l’omeostasi della superficie oculare risulta alterata è la sindrome dell’occhio secco, una malattia multifattoriale della superficie oculare che colpisce fino al 30% degli individui di età superiore ai 50 anni. È stata, infatti, rilevata un’incidenza maggiore nelle persone anziane, nelle donne in postmenopausa, nei portatori di lenti a contatto e nei pazienti con malattie autoimmuni.

La sindrome dell’occhio secco può essere dovuta a una minore produzione di lacrime o a una aumentata evaporazione. Entrambe queste condizioni portano all’iperosmolarità e alla successiva infiammazione della superficie oculare.

I sintomi della sindrome dell‘occhio secco, come visione offuscata, foto-sensibilità, irritazione, bruciore e prurito, possono limitare le attività quotidiane e avere un impatto negativo sulla qualità della vita.

Il ruolo degli acidi grassi essenziali nella salute della superficie oculare

Solide prove scientifiche dimostrano l’efficacia dell’assunzione di acidi grassi omega-3, con l’alimentazione o tramite integratori, nel miglioramento dei sintomi della sindrome dell’occhio secco e della salute della superficie oculare. Una delle prime prove cliniche è derivata da un ampio studio trasversale che ha coinvolto oltre 30.000 donne e che ha dimostrato la relazione tra un basso apporto alimentare di acidi grassi omega-3 e un aumento del rischio di sindrome dell’occhio secco.

Gli omega-3 sono componenti strutturali fondamentali delle membrane cellulari, nonché precursori per la sintesi di numerose sostanze biologicamente attive. I principali acidi grassi omega-3 includono l’acido alfa-linoleico a catena corta e l’acido eicosapentaenoico a catena lunga, l’acido docosapentaenoico e l’acido docosaesanoico. Mentre gli acidi grassi omega-3 a catena corta sono ottenuti da fonti vegetali, gli acidi grassi omega-3 a catena lunga sono ottenuti dal pesce azzurro e possono essere sintetizzati mediante l’allungamento degli acidi grassi a catena corta. Gli omega-3 presentano proprietà antinfiammatorie che esercitano mediante inibizione competitiva con l’acido arachidonico come substrato per gli enzimi cicloossigenasi e 5-lipossigenasi.

È stato riportato che gli acidi grassi omega-3 potrebbero avere anche un effetto neuroprotettivo, di grande interesse clinico per gli oftalmologi. Infatti, i nervi corneali sono essenziali per la produzione di lacrime, per il riflesso di ammiccamento protettivo e per il rilascio di neuromodulatori trofici che mantengono la vitalità e il metabolismo dei tessuti della superficie oculare.

Il ruolo delle vitamine nella salute della superficie oculare

Vitamina A

Il termine vitamina A comprende il retinolo, la forma biologicamente più attiva, di origine animale, e i carotenoidi, precursori che si trovano in un’ampia varietà di frutta e verdura. La vitamina A è necessaria per tutta una serie di funzioni e, nell’occhio, per la salute delle mucose, la fototrasduzione retinica, il metabolismo, la crescita e differenziazione dell’epitelio della superficie oculare. Infatti, la carenza di vitamina A, dovuta alla malnutrizione, è una delle principali cause di cecità nei Paesi in via di sviluppo. Un recente studio clinico ha dimostrato che assumere vitamina A, tramite l’alimentazione o integratori, migliora la qualità delle lacrime nei pazienti con sindrome dell’occhio secco, promuovendo la salute della superficie oculare.

Vitamina B-12

La vitamina B12 è un cofattore nella sintesi del DNA ed è coinvolta nel metabolismo degli acidi grassi e degli amminoacidi. Si trova nei prodotti di origine animale tra cui carne, latte, uova, pesce e crostacei. Questo micronutriente ha un ruolo fondamentale nella sintesi della mielina e il suo deficit è associato a mielopatia, neuropatia periferica, sindromi neuropsichiatriche e atrofia ottica. Negli ultimi anni è stato riconosciuto il ruolo delle anomalie neurosensoriali nella fisiopatologia della sindrome dell’occhio secco e due studi recenti hanno dimostrato un miglioramento dei sintomi in pazienti con forma grave a seguito dell’integrazione di vitamina B12 sotto forma di collirio.

Vitamina C

La vitamina C è una vitamina idrosolubile necessaria per il funzionamento di una vasta gamma di enzimi e si trova in frutta e verdura come agrumi, fragole, ciliegie, pomodori e broccoli. Il film lacrimale contiene alti livelli di vitamina C, che riflettono l’elevata richiesta di questo nutriente da parte della superficie oculare per la difesa antiossidante. Inoltre, la vitamina C sembra svolgere un ruolo importante nei processi di guarigione delle ferite corneali.

Vitamina D

La vitamina D è una vitamina liposolubile che può essere acquisita tramite l’assunzione di cibo specifico o prodotta nella pelle in seguito all’esposizione alla luce solare. La carenza di vitamina D è stata recentemente associata alla patogenesi della sindrome dell’occhio secco. Infatti, la vitamina D svolge un ruolo immunomodulatore e regola la proliferazione cellulare, il differenziamento e l’apoptosi, potenziando così la barriera epiteliale corneale. Inoltre, promuovendo la produzione di tensioattivi, aumenta la componente lipidica del film lacrimale. Infine, modula l’assorbimento sistemico del calcio, che ha un ruolo cruciale nel mantenere la secrezione di liquidi dalle ghiandole lacrimali. I livelli sierici di vitamina D hanno mostrato correlazioni significative con la produzione di lacrime e con i sintomi della sindrome dell’occhio secco. Per tutto questi motivi, la vitamina D è stata studiata proprio come potenziale terapia per questa condizione.

Sindrome dell’occhio secco e altri micro-nutrienti

Selenio e lattoferrina

Il selenio è un micronutriente essenziale che si trova principalmente in carne, pesce, frutti di mare e cereali. Il corpo umano contiene diverse selenoproteine, fondamentali per lo sviluppo e il metabolismo. In particolare, la glutatione perossidasi protegge le cellule dallo stress ossidativo e la sua espressione è ridotta nei pazienti con sindrome dell’occhio secco. Invece, la selenoproteina P è una proteina di trasporto del selenio prodotta dalla ghiandola lacrimale e secreta nelle lacrime per fornire selenio all’epitelio della cornea. Nella sindrome dell’occhio secco, sono ridotti anche i livelli di selenoproteina P nelle lacrime. La lattoferrina è una glicoproteina legante il ferro presente nella maggior parte dei fluidi esocrini, comprese le lacrime, che serve a proteggere l’epitelio corneale dall’irradiazione ultravioletta. Anche la concentrazione di lattoferrina è risultata ridotta nella sindrome dell’occhio secco e l’integrazione orale nei pazienti permette un miglioramento significativo dei sintomi.

Curcumina

La curcumina è un polifenolo isolato dalla Curcuma longa, ampiamente utilizzata come spezia. Sono note le sue proprietà antinfiammatorie, antiossidanti, anti-angiogenetiche, cicatrizzanti e antimicrobiche. La curcumina contribuisce a ripristinare l’omeostasi della superficie oculare riducendo le specie reattive dell’ossigeno, diminuendo l’espressione dei mediatori dell’infiammazione e aumentando i fattori neurotrofici. Per questo, alcuni studi hanno identificato la curcumina come un candidato promettente per il trattamento della sindrome dell’occhio secco.



Bibliografia:

Marco Pellegrini et al., The Role of Nutrition and Nutritional Supplements in Ocular Surface Diseases, Nutrients 2020, 12, 952; doi:10.3390/nu12040952

Gli ultimi due anni di pandemia hanno limitato il tempo trascorso dai bambini all’aperto e accresciuto enormemente l’uti...
08/03/2022

Gli ultimi due anni di pandemia hanno limitato il tempo trascorso dai bambini all’aperto e accresciuto enormemente l’utilizzo dei device digitali, per la didattica a distanza, per comunicare e giocare specie durante il primo lockdown.
Numerosi studi scientifici hanno riportato un significativo incremento della miopia infantile. In particolare, uno studio, pubblicato su JAMA Ophthalmology, su 120.000 bambini cinesi tra i 6 e i 16 anni, ha registrato nel 2020 un aumento della miopia 3 volte superiore rispetto agli anni precedenti, soprattutto nei bambini più piccoli. Un’escalation ancora più rilevante nei bambini e ragazzi con miopia elevata, cioè quella sopra le 6 diottrie, che nel 2050 interesserà il 10% della popolazione, ovvero un miliardo di persone

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IL TEST DI ACUITÀ VISIVAIl test di acuità visiva è un esame non invasivo che rappresenta una parte essenziale della visi...
19/02/2022

IL TEST DI ACUITÀ VISIVA

Il test di acuità visiva è un esame non invasivo che rappresenta una parte essenziale della visita oculistica completa e ha l’obiettivo di determinare la chiarezza e la nitidezza della vista. Questi parametri vengono testati valutando la capacità di distinguere diversi ottotipi (rappresentazioni grafiche di lettere o simboli) da una distanza standard. Questo processo, che può sembrare semplice e automatico, richiede in realtà molteplici funzioni da parte dell’occhio: la retina deve essere in salute e deve poter essere raggiunta dalla luce con un’adeguata rifrazione e gli stimoli visivi ricevuti devono poter essere interpretati correttamente dal cervello.

Il test di acuità visiva esiste da molto tempo e già nel 1800 la volontà di standardizzare i test visivi portò alla creazione di diversi grafici con ottotipi differenti. Il primo, ed ancora il più utilizzato oggi, è la tabella di Snellen. Più recentemente si è affermato anche il grafico LogMAR (noto anche come grafico ETDRS). Per gli adulti vengono solitamente usati ottotipi con le lettere, mentre nei bambini si ricorre a simboli adatti al loro livello di comprensione.

Attualmente, sono disponibili anche molte applicazioni per smartphone per effettuare il test, che sembrano ottenere risultati riproducibili.

I risultati del test di acuità visiva sono riportati utilizzando una scala in decimi o in ventesimi. Il valore di 10/10 e 20/20 è quello che ottiene una persona con la massima acuità visiva, ma esso rappresenta solo un aspetto della visione e non include altri elementi, come la percezione della profondità, la visione periferica e il daltonismo.

Una delle cause più comuni di alterazione della vista sono gli errori di rifrazione, come avviene nella miopia e nell’ipermetropia. Altre cause di disabilità visiva includono astigmatismo, ambliopia (o “occhio pigro”), distacco della retina, degenerazione maculare, ischemia, cataratta, glaucoma, abrasione corneale o altre lesioni traumatiche. Il test di acuità visiva è essenziale nell’esame oftalmologico perché molte di queste condizioni possono essere identificate precocemente, per permettere un intervento terapeutico tempestivo.

Il test di acuità visiva viene eseguito come parte di un esame oculistico completo, in particolare in queste circostanze:
– screening per disabilità visive
– sostegno nella diagnosi di malattie oculari recidivanti
– valutazione dei cambiamenti acuti della vista, traumatici o non traumatici
– valutazione della vista dopo interventi correttivi
– monitoraggio della vista per il rinnovo della patente di guida
Esso gioca un ruolo sia nel contesto acuto che in quello di screening. Nel primo caso, è importante documentare un punteggio iniziale di acuità visiva, sia per le lesioni meccaniche dell’occhio che per la perdita improvvisa della vista (ad esempio, in caso di glaucoma, distacco della retina o ischemia). L’acuità visiva misurata in queste circostanze può essere confrontata con il precedente test, se disponibile, e servirà come base per la rivalutazione dopo l’intervento in ambito acuto e subacuto.

I test di screening visivo, incluso quello di acuità visiva, hanno numerosi vantaggi in ambito pediatrico. In particolare, il test di acuità visiva è il migliore per scoprire i difetti refrattivi, che sono la principale causa di disabilità visiva e di vista ridotta nei bambini. Durante le fasi iniziali dello sviluppo , è importante sottoporre i bambini a esami visivi più frequenti.

Negli adulti asintomatici, senza fattori di rischio significativi, è possibile eseguire un esame oculistico completo ogni 5-10 anni sotto i 40 anni, ogni 2-4 anni tra i 40 e i 54 anni, ogni 1-3 anni tra i 55 e i 64 anni e ogni 1-2 anni in età superiore ai 65 anni. Il cambiamento nella frequenza dei controlli serve a valutare meglio le malattie oculari legate all’età.

I soggetti a più alto rischio di glaucoma dovrebbero sottoporsi a esami oculistici completi più frequentemente, anche se asintomatici. Gli individui con diagnosi di diabete di tipo 1 dovrebbero sottoporsi a un esame della vista, incluso il test di acuità visiva, dopo cinque anni dalla diagnosi, per poi ripetere gli esami ogni anno. I pazienti con diagnosi di diabete di tipo 2, invece, dovrebbero sottoporsi a un esame annuale a partire dal momento della diagnosi. Inoltre, le donne con diabete dovrebbero sottoporsi a un esame oculistico completo, incluso il test di acuità visiva, durante il primo trimestre di gravidanza.

L’obiettivo di questi esami di screening è consentire un intervento precoce per prevenire la morbilità a lungo termine e migliorare la qualità della vita.

Bibliografia:

Harrison F. Daiber, David M. Gnugnoli. Visual Acuity In: StatPearls [Internet]. Treasure Island (FL): StatPearls Publishing; 2021 Jan.2021 Jan 25.

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